la Repubblica, 8 settembre 2016
A New York più che tennis è sopravvivenza
Qualsiasi Grande Slam è ricordato per uno storico dettaglio. Quello del 1933 perché Jack Crawford, astemio, perse la finale contro Perry a causa di un whisky sorbito contro l’allergia alle graminacee, quando 3 dei 4 Grandi Tornei si giocavano sull’erba.
Quello dell’anno passato perché Serena Williams, sulle soglie della quarta vittoria riuscì a farsi eliminare da un’italianuzza che, con le finali, aveva poca dimestichezza: Roberta Vinci. Disse il perché al suo psichiatra, in una seduta sommersa di lagrime. La stessa Robertina Vinci, della quale abbiamo ammirato ieri lo stoicismo, causa una lesione al tendine d’Achille, non figura, proprio per il suo coraggio, nell’elenco dei tennisti ritirati, durante questo US Open. Se mi credete, nella mia nullità di matematico, siamo già arrivati a 7 donne che avevano i punti per iscriversi prima del torneo, e a 5 durante la gara. E, a conferma della crescente superiorità femminile, a 7 maschietti prima di giocare, ma ben 10 durante le gare.
Sono numeri quasi incredibili, che riescono a battere il totale dei ritiri durante lo Australian Open, che si è sempre giocato nel Ferragosto australiano, e solo le proteste di Becker e compagni, e – lo rivendico – un uovo da me fritto sul Centrale, hanno condotto alla tardiva e saggia decisione di chiudere uno dei tre tetti quando la temperatura supera i 40°. A New York, nonostante il nuovo tetto del Centrale, non è stata presa un’eguale decisione, e forse si attende ( spero di no ) il morto, come nelle vicende in cui la stupidità supera una buona legge. La ragione principale di tutti i ritiri non è però soltanto la temperatura. Ho chiesto il suo autorevolissimo parere al dottor Francesco Parra, il medico più conosciuto grazie al suo Laser Parracelso nel mondo del tennis, appena ritornato da New York. «Ora due delle superfici dei campi d’erba di Melbourne e di New York sono state cementate» mi ha detto Parra. «E dimmi tu quanti altri sport si svolgono sul cemento. Poi si gioca ormai dodici mesi l’anno, senza soste, e la competitività si è molto alzata, con l’alzarsi del professionismo». Quel che il medico non ha voluto dirmi, sebbene non credo sia contrario alle mie idee, è che i tennisti non sono spesso preparati a performances atletiche che le nuove racchette, e quindi le nuove tattiche, spingono spesso alle 3-4 ore di gioco. E che qualche volta si osservano ritiri in singolo poco giustificati da un’apparizione in doppio, un’ora più tardi. A queste considerazioni generali vanno aggiunti alcuni dettagli. Tra i ritirati per crampi spicca un tipo che alcuni attendevano quantomeno finalista, come a Wimbledon, un presunto successore dei Fab Four quale Milos Raonic.
La vicenda fin qui più curiosa è rappresentata dai ritiri dei successivi avversari di Djokovic, che ha affermato di non credere ad una fin qui ignorata qualità di sciamano cattivo. Nole ha fruito sin ora di ben 3 ritiri, contro Vesely in secondo turno, sul 4-2 nel primo set con Youzny in terzo, e contro Tsonga nei quarti. Non riesco a ricordare, e sarei felice di una smentita, qualcuno che vince, in caso felice, uno Slam giocando solo tre partite. Anche e soprattutto per il fatto che Djokovic si è giustamente lamentato di non aver sufficiente abitudine alla gara. Qualcuno, come lo statistico Luca Marianantoni, ha fatto notare che Frank Parker, a Forest Hills nel 1945, vinse quello Slam in 5 soli match, vincendo 13 set. Se Nole vincesse gliene servirebbero 14. Ma il record resterebbe comunque suo, come gli auguro. O tempora. O ritiri.