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 2016  settembre 08 Giovedì calendario

Essere italo-americano oggi

In una recente risposta, riferendosi alla comunità italo-americana negli Stati Uniti, lei diceva che essa non esiste e che è del tutto frammentata. Concordo pienamente con lei. Tra le società che cercano di tenere viva la loro origine italiana la più nota, credo, sia la Niaf, National Italian American Foundation, con sede a Washington. Socio da diversi anni, ne sono anche molto deluso. La loro rivista periodica, Ambassador, descrive un’Italia rosea, irreale, fantastica, in cui si parla unicamente di luoghi affascinanti o ricchi di arte. Nulla appare, invece, della realtà che noi ben conosciamo. Le loro periodiche email evidenziano soprattutto feste, ricevimenti e autocelebrazioni. Un’associazione di italiani di terza, quarta generazione che hanno raggiunto posizioni sociali ed economiche di alto e altissimo livello ma anche un club il cui artificioso collante è un’Italia che, forse, conoscono poco ed è parificata al Paese di Bengodi. Sarebbe interessante conoscere il suo parere in proposito.
Franco Abbiati
Padova

Caro Abbiati,
Intendevo dire che l’italo-americano, nel senso assunto dalla espressione cinquanta anni fa, non esiste più. Vi fu certamente un lungo periodo, tra le grandi migrazioni della fine dell’Ottocento e la Seconda guerra mondiale, in cui il cittadino americano di origine italiana era percepito da molti come una persona estranea al nucleo originale, prevalentemente anglosassone e protestante, della società che lo aveva accolto. Non era razzismo, ma creava talora nelle comunità italiane un sentimento di estraneità che le spingeva a raggrupparsi, vivere nello stesso quartiere (una «little Italy»), celebrare ostentatamente le proprie festività, soprattutto religiose. Il fascismo cercò di sfruttare questi sentimenti con la creazione dei fasci italiani all’estero, mentre la politica americana, quando aveva bisogno dei loro voti, non mancava di corteggiarli. È il caso di Franklin D. Roosevelt, presidente degli Stati Uniti dal 1932 alla sua morte, nell’aprile del 1945. Quando fece campagna per il suo ultimo mandato, nel 1944, adottò verso l’Italia sconfitta una linea meno severa di quella che caratterizzò in quel momento la politica della Gran Bretagna.
Da allora molte cose, negli Stati Uniti, sono cambiate. In primo luogo il cattolicesimo, come ha ricordato Manlio Graziano in un libro pubblicato recentemente dal Mulino, è la religione della maggioranza relativa degli americani (quasi 70 milioni di persone). In secondo luogo il numero crescente degli immigrati provenienti dall’America Latina, dall’Africa e dall’Asia ha avuto l’effetto di collocare gli italiani in un più vasto «gruppo europeo» dove il primato degli anglosassoni protestanti si è progressivamente diluito. In terzo luogo esiste ormai nel gruppo degli italo-americani una consistente aristocrazia dell’anzianità, rappresentata da cittadini di terza e quarta generazione. Questo non impedisce tuttavia a ogni gruppo nazionale della società americana di competere con gli altri valorizzando il proprio Paese di origine. È un gioco interamente americano in cui non vi è traccia di nostalgia per la patria perduta, ma tutt’al più il desiderio di risalire alle origini del proprio gruppo famigliare. Sono tutti cittadini degli Stati Uniti e, almeno per ora, contenti di esserlo.