Corriere della Sera, 8 settembre 2016
Ancora una replica di Yoram Gutgeld sulla spending review
Nella sua risposta il professore Perotti continua a commettere errori materiali, a ipotizzare il fallimento di riforme non ancora entrate in vigore, e a fare illazioni non suffragate dai fatti. Ne facciamo solo alcuni esempi:
1. Perotti presagisce che la riforma Madia della dirigenza pubblica e la riforma delle partecipate non produrranno gli effetti desiderati. Se capiamo bene egli non contesta al governo la mancanza di volontà di ridurre il numero delle partecipate e di rendere la retribuzione dei dirigenti pubblici più meritocratica e legata ai risultati. Sostiene, prima che queste riforme siano entrate in vigore, che non funzioneranno, e fa intendere che le avrebbe fatte diversamente. Siccome siamo convinti che la posizione del professore non rifletta la frustrazione di un accademico che ha visto qualche sua idea non recepita, speriamo converrà con noi che solo tra 12/24 mesi sarà possibile valutare se le capacità e l’impegno del governo di realizzare questi condivisi obiettivi supereranno le sue nefaste previsioni.
2. Il professore Perotti sostiene che «i risparmi dall’abolizione delle Province… permarrebbero anche se vincesse il No al referendum». Non è così. Se le Province non fossero definitivamente soppresse non sarebbe certamente possibile realizzare nessuno dei risparmi già programmati per i prossimi anni e si metterebbero in questione i 1,7 miliardi già ottenuti. La riforma costituzionale è la pietra tombale sulle Province, sancisce i grandi tagli fin qui operati e consentirà in prospettiva ulteriori razionalizzazioni dei servizi. La stima complessiva di 500 milioni di risparmio è semmai in difetto.
3. Sulle tasse locali il professore Perotti cambia linea. Avendo realizzato che la legge di Stabilità 2016 vieta l’aumento delle tasse locali, egli sostiene che «si possono alzare le rette degli asili, i biglietti del trasporto locale ecc.». Professore Perotti parla di una possibilità teorica o di un fatto concreto? Queste rette e tariffe sono aumentate o no? Se sì di quanto? Se sì, sono aumentate a fronte di servizi aggiuntivi o a parità di offerta? Non serve ricordare a un illustre accademico che senza i fatti queste affermazioni sono solo ingannevoli illazioni.
Si potrebbe continuare a ribattere sui singoli punti, ma forse per i lettori sarebbe più interessante ricordare i risultati complessivi ottenuti con la revisione della spesa.
I 25 miliardi di spesa ridotta, assieme al recupero dell’evasione e la riduzione degli interessi sul debito sono serviti in parte per finanziare servizi che uno Stato degno del nome «giusto e moderno» dovrebbe garantire. Negli ultimi due anni la Pubblica amministrazione ha ridotto le auto blu di circa trentamila macchine per un risparmio di oltre 500 milioni, pari alle risorse messe a disposizione nel 2015 per dare a 32.000 malati di epatite C un nuovo farmaco salva vita. Poi ci sono la scuola, la sicurezza, la maggior tutela per chi perde il lavoro e molto altro.
Ma questi 25 miliardi sono serviti prima di tutto a ridurre le tasse, soprattutto sul lavoro. La pressione fiscale sta calando. Nel 2013 era 43,6%; l’anno scorso era 42,9% (contando gli 80 euro per quel che sono, una riduzione dell’Irpef). Quest’anno secondo i dati del Mef è prevista al 42,2%. Nello stesso periodo il deficit è calato dal 3% al 2,4% del Pil.
Il contenimento della spesa pubblica ha un prezzo: rallenta la crescita economica. Ma un Paese con un debito pubblico alto come il nostro non ha alternative. Per molti anni invece la nostra crescita era troppo dipendente dalla spesa pubblica. Una recente analisi di Marco Fortis indica che negli ultimi sei trimestri la nostra crescita al netto del contributo della spesa pubblica è stata più alta di quella francese e tedesca. La riduzione della pressione fiscale, assieme alle altre riforme, sembrano consentirci di ottenere faticosamente una crescita economica, ancora troppo bassa, ma sana e compatibile con il debito alto che abbiamo ereditato dal passato.
Questo intervento del commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, segue la pubblicazione dell’articolo di Roberto Perotti «In dieci punti i veri numeri della politica economica» (Corriere, 6 settembre). Il dibattito è iniziato con un’intervista al professor Perotti (4 settembre), che criticava la politica del governo sulla spesa pubblica, alla quale lo stesso Gutgeld aveva replicato il 5 settembre. Sul medesimo tema è apparsa ieri una lettera del presidente dei deputati di Forza Italia Renato Brunetta.