Corriere della Sera, 8 settembre 2016
Storia del re-brigante che agita l’Afghanistan a 90 anni dalla sua sepoltura
I cani Kuchi vengono costretti a combattere sulla neve della piana di Shomali fin dai tempi di Habibullah Kalakani, che da questi villaggi è sceso verso Kabul con i suoi briganti per prendersi il potere come un bottino troppo a lungo rinviato. Il capoclan è stato l’unico re di origine tajika nella Storia dell’Afghanistan: nove mesi sul trono dove invece i leader pashtun sono rimasti seduti tra il 1747 e il 1973. Per l’etnia dominante nel Paese è un usurpatore, un bandito chiamato con il soprannome dispregiativo di «figlio dell’acquaiolo». È accusato di aver rallentato le riforme proprio quando servivano di più dopo l’indipendenza dai britannici e di aver imposto le norme restrittive dell’Islam fondamentalista: niente scuola per le bambine, burqa obbligatorio per le donne, al bando l’influenza straniera in qualunque forma.
I tajiki lo celebrano come un eroe, un Robin Hood con il fucile e la bandoliera, protettore dei più miseri, imprigionato solo grazie al tradimento di un patto siglato sul Corano. Nelle case le sue foto sono appese vicine a quelle di Ahmed Shah Massoud, il comandante che ha combattuto i talebani ed è stato assassinato nel 2001 dagli emissari di Al Qaeda. Anche Kalakani è stato ammazzato: dal cugino del monarca che aveva deposto, il cadavere gettato in una fossa comune assieme a diciassette fedeli del seguito.
Questa tumulazione da reietto divide le tribù afghane dal 1929 e solo una settimana fa i suoi sostenitori sono riusciti a trasferire i resti. Non come e dove avrebbero voluto: pretendevano un funerale di Stato che il presidente Ashraf Ghani, pashtun, non ha concesso per tentare di evitare le tensioni, chiedevano che venisse eretto un mausoleo in suo nome e il progetto per ora deve essere rinviato.
Aver scelto di dissodare per le tombe la terra di Shahr Ara ha smosso pure la suscettibilità di Rashid Dostum, che ha messo in campo i suoi miliziani armati di kalashnikov e il peso politico di vicepresidente. La collina porta il nome della figlia di Babur, il conquistatore arrivato nel XVI secolo dall’Asia centrale e venerato dagli uzbeki. Dalla sua fortezza di tre piani dipinti di rosso a Kabul, Dostum ha lanciato proclami da signore della guerra: «Non posso accettare questa imposizione, sono pronto a versare il mio sangue e quello della mia gente». Sono intervenute le forze speciali, negli scontri ci sono stati feriti, solo al tramonto i tajiki hanno potuto cominciare a scavare ma fuori dal recinto del cimitero più prestigioso.
Dostum è convinto che il caso della sepoltura sia stato usato per marginalizzarlo e incrinare il suo rapporto con il presidente Ghani. Che alla fine di settembre dovrebbe indire le elezioni parlamentari e conferire attraverso l’assemblea degli anziani il ruolo di primo ministro ad Abdullah Abdullah. L’intreccio di etnie che si sfidano dai tempi della guerra civile spacca ancora l’Afghanistan: anche gli hazara minacciano nuove proteste, oltre un mese fa la loro manifestazione era sta colpita da un kamikaze, 80 morti. Il tajiko Abdullah Abdullah accusa il presidente di non aver mantenuto la promessa per la spartizione del potere, il loro dovrebbe essere un governo di coalizione. Le divisioni nello Stato centrale favoriscono come negli anni Novanta l’avanzata dei talebani che stanno riprendendo il controllo delle province attorno alla capitale.