Corriere della Sera, 8 settembre 2016
Putin rinnova il suo cerchio magico
L’improvvisa sostituzione del fidato Sergej Ivanov al vertice dell’amministrazione presidenziale è solo la punta dell’iceberg. Il vecchio compagno del Kgb che conosce Vladimir Putin dagli anni Settanta, se n’è andato a occuparsi di ambiente, sostituito dal giovane e sconosciuto vice Anton Vaino. Una mossa a sorpresa, ma che si inquadra in una strategia di rinnovamento totale dei quadri russi. Via parecchi degli antichi sodali, quelli che danno del tu al capo. Via boss locali inefficienti, anziani e magari anche corrotti. Dentro forze fresche; uomini, in generale, assai più giovani dei precedenti e che dipendono in tutto e per tutto da chi li ha nominati: Vladimir Vladimirovich Putin. E che provengono in buona parte dalle file dei servizi segreti, quell’Fsb, in particolare, che ha preso quasi interamente il posto del vecchio Kgb.
È una vera e propria rivoluzione iniziata in maniera strisciante per portare la Russia verso l’ultima fase della guida di Putin con la rielezione alla presidenza nel 2018. E che dovrebbe anche forgiare la classe dirigente di domani, quella che prenderà in mano il paese quando Vladimir Vladimirovich si ritirerà. Compreso un nuovo presidente. Naturalmente tutto dovrà essere sotto controllo e gestito da persone di provata fedeltà. Questo allo scopo di evitare rischi di «attacchi asimmetrici», con, magari, manifestazioni di piazza destinate a creare caos e forse a giustificare un qualche intervento esterno. Per i cekisti, come amano chiamarsi anche oggi gli uomini che come Putin vengono dai servizi, il vecchio «avversario principale» è sempre lo stesso, gli Stati Uniti d’America. Ecco allora, ad aprile, la nascita della Guardia Nazionale, una poderosa struttura armata costituita da 400mila uomini addestrati, guidati da comandanti fedelissimi allo zar.
La rivoluzione silenziosa degli uomini con le spalline è iniziata con la rimozione improvvisa un mese fa di quattro governatori, tre inviati presidenziali nelle grandi aree del paese e dell’ambasciatore in Ucraina. Un cinquantenne, Zinichev, va nella delicata regione di Kaliningrad, enclave russo incastonato fra i paesi baltici e la Polonia. Un 47enne, Mironov, è il nuovo governatore dell’importante regione di Yaroslavl; un 39enne, Ovsyannikov, si insedia nella strategica città di Sebastopoli, sulla punta della Crimea.
Nei mesi scorsi erano saltati altri amici di vecchia data. Il capo delle ferrovie Vladimir Yakunin, compagno di dacia di Putin dai primi anni Novanta. Poi il titolare dell’antidroga Viktor Ivanov, il capo del servizio di sicurezza Murov, il responsabile delle dogane Belyaninov.
È tutto l’apparato di controllo dello Stato ad essere rigirato come un calzino, compresi i quadri intermedi. Al posto di quelli che potrebbero un giorno far sentire il loro peso specifico e magari crearsi un gruppo di potere autonomo, arrivano uomini che dipendono totalmente dal presidente. «In pratica sono tutti guardie del corpo personali di Putin», commenta sarcastico l’analista politico Stanislav Belkovskij. E Tatiana Stanovaya del Centro tecnologie politiche aggiunge: «I nuovi arrivati non possono vantare vicinanza personale a Putin. Sono esecutori puri e semplici». Il campo dei silovikì (come vengono definiti gli uomini che provengono dai ministeri «armati») cambia.
Naturalmente, i nuovi vengono soprattutto dai servizi. Ai tempi dell’interludio costituito dalla presidenza Medvedev, i silovikì non erano più del 20% degli alti papaveri statali. «Ora sono saliti al 47%», ha calcolato la sociologa Olga Kryshtanovskaya. Non solo Putin si appoggia a loro, ma sa che i cekisti la pensano tutti come lui: «Capiscono cosa vuol dire “nemico”. Le altre persone possono pensare che all’Ovest ci siano anche amici della Russia, ma i silovikì sanno che lì ci sono solo nemici. Sono stati addestrati a pensarla così».
Alla base di tutto c’è il fatto che il presidente ha imparato a non contare su nessuno. «Il suo entourage non merita la fiducia concessa fino ad oggi», dice ancora la Stanovaya. E si è dimostrato pure troppo corrotto. Putin crede solo nella «missione» che lui stesso si è dato: traghettare la Russia verso un futuro grandioso.