la Repubblica, 8 settembre 2016
A Manchester tutto è pronto per la sfida di Pep e Mou
Forse, l’impero del Male contro le armate del Bene. Forse, l’imbonitore contro il filosofo. Quello che parla degli arbitri contro quello che parla dell’Unicef. Quello che la difesa e il contropiede contro quello che il possesso palla. Quello che se ami ciò che fai non ti cadono i capelli contro quello che lui mi ha fatto diventare un tecnico migliore. Tutto quello che sembra, e forse non è.
Il monosillabo Mou sfida il monosillabo Pep nel cortile di Manchester, sabato all’ora di pranzo, e sarà il cortile di casa Mou: Old Trafford, il rosso “teatro dei sogni” dello United. Poi si rivedranno, nel caso, ai giardinetti, alla cassa del Tesco, forse al ristorante San Carlo buono e caro come il fuoco, oppure più probabilmente all’Etihad Stadium il 25 febbraio, cioè nell’altra metà del cortile, quello tutto blu del City. E nel frattempo, come sempre, come in Spagna e ovunque, uno cercherà di mandare l’altro in manicomio e ci finiranno entrambi: perché il loro è soprattutto un crudele duello di cervelli sublimi e stressati.
I dollari degli americani (Glazer, United) hanno portato José Mourinho a Manchester, dove i petrodollari dello sceicco (Mansour, City) hanno portato pure Josep Guardiola. José, Josep: forse, il primo indizio di una distanza solo apparente comincia proprio qui, dal battesimo quasi identico. Sarà poi vero che i due sono così diversi? E se il fuoco di Mou fosse il segno del cuore, della sincerità, dunque “buono”? E se la flemma di Pep raccontasse freddezza, falsità, dunque “cattiva”? Il veleno dell’uno si è mescolato con quello dell’altro ed eccoli diversi solo nella scorza. Perché nel profondo, Mourinho e Guardiola sono identici: perfezionisti, studiosi, egocentrici, feroci e profondamente insicuri. Sì, questa è la notizia: quei due sono insicuri e fragili.
Qui c’entrano anche l’estetica, il linguaggio dei segni, i simbolismi. Il falso santo Guardiola sa che il non del tutto satanico Mourinho viene considerato l’allenatore più bravo al mondo, il più affascinante, il più carismatico. Ma il non del tutto sincero e appagato Mourinho patisce, moltissimo, il fatto che il Barcellona non scelse lui ma quell’altro, prima che il gran duello cominciasse. Mou è stato traduttore e assistente di Bobby Robson al Barcellona, con Guardiola giocatore, ed entrambi allenarono la formazione B dei catalani: identico l’imprinting, opposti i destini. Ricchissimi e potenti (però Mourinho di più: 25 milioni di euro all’anno per tre, contro i 19 di Guardiola), devono comunque aggrapparsi a una coperta di Linus: il cappotto di Mou, la bottiglietta d’acqua di Pep che quando beve prende tempo per riflettere, rinfrescando così le parole.
«Peppe è una persona per bene e perciò gli voglio bene», dice Carlo Mazzone che Guardiola riconosce come unico maestro. «Il suo calcio è più bello, ma non metto lingua sul perché e il percome della rivalità con Mourinho. Quando Peppe giocava per me al Brescia non parlava mai, così ogni tanto gli facevo “aho’, Peppe, ci dici come la pensi”?, e lui non sbagliava neanche una sillaba».
«Da José ho imparato molto», spiega invece Beppe Baresi che di Mourinho fu il secondo all’Inter. «È un formidabile motivatore, sa come arrivare al cuore di ognuno e ognuno con lui sa di essere decisivo, anche se magari gioca solo due minuti di partita».
Per sentirsi sicuro e ferire, Mourinho usa le parole. Per sentirsi protetto e difendersi, Guardiola cerca di non passeggiare su quel terreno minato. Pep ha vinto più di Mou contro Mou (8 volte a 3, con 5 pareggi) ma ha patito una sconfitta aspra: essersi lasciato trascinare nella polemica arbitrale nei folli diciotto giorni del 2011. Poco conta che Guardiola abbia eliminato due volte Mourinho dalla Champions, se poi Mourinho ha cacciato per un anno Guardiola dal calcio e dall’Europa, il famoso anno sabbatico della fuga di Pep a New York, come unico bagaglio a mano il suo cervello brillante e stressato. Poi è ripartito dal molto facile, dal Bayern Monaco dove vincerebbe il campionato pure un assessore della Raggi, mentre Mourinho è tornato al Chelsea tra gioie, dolori, denari, carisma e addii. Adesso giocano infelici e feroci nello stesso cortile, come due bambini con la palla di gomma.