la Repubblica, 8 settembre 2016
L’ultima battaglia dei Sioux è contro l’oleodotto Mai nel North Dakota
Soli con le loro mani nude contro l’assalto dei nuovi “cavalli di ferro”, i Sioux del Grande Nord combattono l’ultima battaglia contro la prepotenza del “Uasìciu”, di colui che si mangia il grasso e lascia solo le ossa, contro l’Uomo Bianco. Centocinquant’anni dopo l’arrivo delle locomotive che sventrarono la Grande prateria, tagliarono la transumanza dei bisonti e la vita dei cacciatori nomadi Lakota che con essi vivevano in simbiosi, le mostruose scavatrici della DAPL, l’oleodotto del Nord Dakota avanzano inarrestabili, preparando il letto a 1.800 chilometri di tubi che pomperanno 470mila barili di petrolio al giorno spremuti, dalle scisti bituminose dei campi di Bakken finoall’Illinois.
Mai, dalla sommossa di Wounded Knee nel Sud Dakota, dove almeno 151 Lakota Sioux e 25 Soldati Blu lasciarono la vita, tanti Indiani si erano raccolti, uomini e donne, con i loro vecchi, i loro bambini, i loro cavalli per opporsi all’ennesima prevaricazione di diritti, terre e trattati da parte dei Bianchi. L’inutile sovranità, solennemente concessa e firmata nel 1866 a Fort Laramie e solennemente violata dopo la firma tra le nazioni Lakota decimate dalla guerra e il governo di Washington, ancora una volta viene calpestata nel nome di giganteschi interessi economici che nessun beneficio porteranno ai titolari delle terre violate. Temporanee ingiunzioni di giudici federali che hanno accolto il ricorso di capo PiccoloTuono non fermeranno un progetto da 3 miliardi e 800 milioni di dollari e che neppure il crollo del prezzo del greggio ha frenato. Non esiste sacralità, non ci sono spiriti dei morti sepolti nella terra fangosa dell’autunno prossima a gelare come granito, né cavalli di guerrieri in jeans e colori di guerra sulle guance o donne sotto le loro coperte che innalzano tipì come le loro trisnonne che possano azzoppare i nuovi Iron Horse, i cavalli d’acciaio che stanno galoppando incontenibile nelle riserve dei Lakota Sioux. L’oro fossile che scorrerà nelle arterie della Dakota Pipeline e che sta producendo l’inevitabile corsa di altri pionieri alla Frontiera del West travolgerà la gente di Piccolo Tuono, come l’oro giallo delle Colline Nere, più a Sud, svuotò rapidamente il trattato imposto agli Oglala affamati di Cavallo Pazzo, il vincitore del fiume Little Big Horn e di Custer.
Troppo potente è l’armata dei caterpillar per i cavalli della tribù della Roccia Alta, il gruppo dei Lakota Sioux che si sta opponendo, perché le macchine si preoccupino delle ossa dei guerrieri rivoltate nel fango. Troppo indifferente è il muso dei pickup che i manifestanti fissano, guardandoli nei fari come se scrutassero gli occhi di un bisonte irremovibile. Il petrolio dei campi di Bakken passerà per correre verso le città dell’est, come i binari delle ferrovie passarono lungo i sentieri del Nord in direzione opposta.
Giudici cercheranno di limitare i danni. Il Bureau of Indian Affairs, l’agenzia del Ministero dell’Interno che dal 1824 dovrebbe prendersi cura delle nazioni dei nativi, cercherà di mediare, di trovare palliativi finanziari, contentini economici che riportino gli ultimi guerrieri scesi sul sentiero della protesta alle loro case nelle riserve e i bambini in quelle scuole dove ancora troppi sono i suicidi di teenagers, di ragazzi che siscoprono prigionieri del nulla.
Gli spiriti torneranno a intonare i loro canti inquieti, per confortare il sonno di un popolo intrappolato nella storia,guerrieri che sanno di non poter vincere, ma di non potersi arrendere.