la Repubblica, 7 settembre 2016
Il terremoto del 1908 non ha insegnato nulla. Se domani la terra tremasse a Reggio Calabria, l’intera città sarebbe rasa al suolo
Più la città si arrampica e più le strade diventano strette e le case sempre più alte. Sono involucri misteriosi di malta e pietra, sembrano trappole per uomini. Non per niente questo quartiere di Reggio si chiama Trabocchetto.
Ci si sale prendendo anche da via dei Villini Svizzeri, quelli costruiti con le donazioni dopo il catastrofico terremoto del 1908. Ma di svizzero o di vagamente europeo è rimasto meno di nulla nella casba dove il paesaggio è un incastro di cubi e scheletri, dove non ci sono marciapiedi, vicoli e vicoli dentro altri vicoli, labirinti che si inseguono.
Comincia dallo scompiglio urbano di Trabocchetto – da via Trabocchetto I a via Trabocchetto II, da via Trabocchetto II a via Trabocchetto III – un piccolo viaggio nell’Italia che da oltre un secolo aspetta con il fiato sospeso che la terra tremi un’altra volta. E quando trema in Calabria – come è accaduto nel 1638 e nel 1693, nel 1783 e poi ancora all’inizio del Novecento – la terra qui si apre e s’ingoia tutto, si solleva anche il mare, dopo restano solo morti e macerie, macerie e morti. «Non oso pensare cosa potrebbe accadere», dice Ignazio Guerra, ordinario di Fisica terrestre dell’università di Arcavacata che dai suoi laboratori controlla da decenni i “movimenti” dal Pollino fin sullo Stretto. Con Reggio che è laggiù, in bilico sullo strapiombo. Per la città di Reggio Carlo Tansi, geologo, studioso appassionato e dal novembre 2015 sul campo come direttore della Protezione civile calabrese, avverte che dobbiamo prepararci al peggio: «Quando arriverà il terremoto, lo scenario sarà apocalittico perché questa è la regione a più alto rischio sismico e tutti i dati storici e scientifici ci spiegano che la metà dei terremoti più violenti in Italia sono avvenuti proprio qui». Nessuno sa quando verrà ma di sicuro verrà. «E se sarà come gli altri avrà un’intensità 17 volte maggiore di quello di Amatrice», racconta Tansi mentre mostra mappe di faglie “corte” e “lunghe” o “profonde” e “superficiali” (le più pericolose) che attraversano Sila e Aspromonte e da mare a mare. Diciassette volte di più di Amatrice. Spaventoso.
Cosa provocherebbe un terremoto così a Reggio, quali danni umani e materiali causerebbe a Trabocchetto – o in qualunque altro quartiere della città che si è anarchicamente dilatata dagli anni ’70 – un sisma simile a quello del 1908 che ha toccato il 7.2 della scala Richter? Se Reggio è considerata tutta ad “alta vulnerabilità”, Trabocchetto è il luogo dove la “saturazione degli spazi” ha superato l’immaginabile, case che svettano per più piani “fuori terra”, vie larghe appena due metri. Chi si salva lì nel dedalo? «Nessuno sulla carta», risponde l’architetto Rosa De Paoli che con Arianna De Paola – autrice di una tesi sul “rischio sismico urbano” – ci accompagna per un sopralluogo nelle zone più insicure che salgono fino agli Ospedali Riuniti, casermoni cadenti e spettrali, pilastri scheggiati, pareti sfondate. È uno degli edifici pubblici ad “alta vulnerabilità” di Reggio. Come tanti asili e scuole, come tante dimore storiche, come tantissimi palazzi vomitati dall’edilizia creativa di una trentina di anni fa. Tutti con regolari licenze e senza vincoli sismici. Tutto nel rispetto di una legge che, in caso di terremoto, non contempla superstiti.
E poi ecco l’altra città, quella che c’è e non c’è, 34mila domande di sanatoria negli ultimi tre condoni (su meno di 180mila abitanti, come se a Roma ne avessero presentate mezzo milione) e il record di 3mila demolizioni mai eseguite fra Pellaro, Gallico, Archi, Saracinello. Mucchi selvaggi, l’inconfondibile stile del “non finito calabrese”, case anche dentro le fiumare.
Sono sette quelle che tagliano Reggio. Una passa sotto l’autostrada per Salerno, un’altra – era larga 180 metri e oggi solo 12 – passa sotto la pista dell’aeroporto. Case su case (in tutta la Regione sono più di 140mila quelle non censite dall’Agenzia delle Entrate) e rioni che si confondono in uno sterminato conglomerato informe. «E non sappiamo di cosa sono fatte queste case, come possono reagire a un forte terremoto», spiega l’architetto De Paoli che studia proprio la pianificazione del territorio legato al rischio sismico.
Il 1908 doveva segnare il confine. Non è andata come doveva andare. Ancora Tansi: «La situazione è gravissima e non fa certo male un sano terrorismo geologico a scopo educativo, non capisco perché in Giappone o in California la paura spinga le comunità a organizzarsi e qui invece niente». Fatalismo e immobilità. Eppure un brivido c’è stato quando, nel 2008, è caduto l’anniversario pieno del terremoto che ha raso al suolo Messina e Reggio, vittime stimate da 80 a 200mila, il numero più realistico fra cadaveri recuperati e dispersi 120mila. Suggerisce Tonino Perna, intellettuale raffinato e professore di Sociologia economica: «Siccome si aspetta il big bang e intanto non si fa nulla se non studi su studi, dovrebbero eseguire gli stress test sulle abitazioni come per le banche». L’idea è buona. Un tecnico come Paolo Cappadona, anche lui geologo e responsabile dell’ufficio “Rischio sismico” della Protezione civile, propone: «Ci vorrebbe un “fascicolo del fabbricato”. È come la revisione periodica delle auto, un libretto che contenga tutti i dati strutturali di un edificio e anche gli interventi successivi». Contro il terremoto la sola difesa è il sapere. Conoscere quanto è resistente la singola casa e quanto è indifesa l’intera città. Ma a Reggio nessuno sa niente di preciso. Così, da febbraio, Tansi ha ordinato di aggiornare il “rapporto Barberi”, la Bibbia in materia sismica, tre libroni voluti diciassette anni fa da Franco Barberi – vulcanologo e sottosegretario alla Protezione civile nei governi Dini e Prodi e D’Alema – che raccolgono ogni informazione sulla “vulnerabilità” degli edifici strategici dell’Italia meridionale. Con tanto di classificazione, dall’”alto” al “medio alto” rischio. A Reggio sono dedicate moltissime pagine. Ma da allora, il 1999, si è perso tempo. «Questo sembra solido e non lo è, quell’altro in fondo invece è ben costruito», l’architetto Antonella Caruso, che proprio a fine anni ’90 per conto della Protezione civile perlustrò ogni metro del centro storico di Reggio, ce li indica uno per uno i palazzi che con un terremoto crolleranno e quelli che forse resteranno in piedi. L’architetto Caruso qualche sorpresa l’ha trovata anche nelle quattro strade parallele alla marina, quelle progettate da Pietro De Nava, l’ingegnere che ha disegnato Reggio dopo il 1908. Sono in disfacimento un paio di ville patrizie che si affacciano su quello che è «il più bel chilometro d’Italia». Frase attribuita a D’Annunzio, dicono però che il Poeta a Reggio non ci sia mai venuto. Il lungomare comunque è bellissimo. Ma poi la città si arrampica.