Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 07 Mercoledì calendario

Dalla “Democrazia” allo “sciopero della fame”: le trenta parole che Cuba censura, anche dagli Sms

Trenta parole proibite che se vengono scritte in un messaggio di testo dal cellulare (sms) impediscono che questo arrivi a destinazione. È quello che hanno scoperto, e denunciato, in un articolo su 14ymedio, il foglio digitale di Yoani Sánchez, un gruppo di dissidenti. Fra le parole proibite c’è per esempio “democrazia”, oppure “dittatura”, “elezioni”, “diritti umani” o “sciopero della fame”. All’inizio il mancato arrivo a destinazione degli sms con parole proibite è stato attribuito al cattivo servizio di Ectesa, l’azienda telefonica di Cuba. Ma grazie a numerose prove svolte in tutta l’isola, i dissidenti sono arrivati alla conclusione che sui messaggi viene applicato un filtro dalla censura. E provando, hanno anche raccolto una lista di parole che bloccano automaticamente gli sms.
Il filtro cubano è simile a quello applicato, a partire dal 2011, in Pakistan, dove le autorità stabilirono una lista di oltre 1600 parole proibite, sia in inglese che in urdu, che non potevano essere usate in messaggio via cellulare. In quel caso però la motivazione era religiosa e le parole vietate erano insulti o oscenità. “Un cubano invece scrive polemica nell’articolo la Sánchez – può raccontare un’orgia in un sms ma non può scriverci la parola democrazia”. L’altra differenza con il Pakistan è la censura della censura. A Islamabad l’operazione “filtro” non era segreta, tutti sapevano che se avessero usato vocaboli vietati il loro messaggio sarebbe stato cancellato d’imperio. Il governo cubano invece lo ha fatto in gran segreto sperando forse che l’inconveniente fosse attribuito a problemi tecnici e non alla censura di Stato.
Nel suo articolo la Sánchez ricorda che il governo cubano non è nuovo all’uso di forme di controllo sui cellulari. Durante la visita di Papa Ratzinger, per esempio, nel settembre del 2012, un centinaio di oppositori denunciarono che le loro utenze cellulari erano state sospese. Ed è di due anni fa la firma di un accordo di cooperazione tra Cuba e il regime cinese grazie al quale Pechino ha trasferito all’Avana la sua esperienza sulla vigilanza e la censura dei contenuti nel web.
Fra i termini bloccati ci sono anche “Primavera Negra”, che si riferisce all’ultima grande repressione dei dissidenti nel marzo del 2003, o i nomi di alcuni degli oppositori più noti, come José Daniel Ferrer, Guillermo Fariñas, la stessa Sánchez e “Damas de blanco”, il movimento delle mogli dei prigionieri politici. Oppure riviste o movimenti di opposizione. Da “Cubanet”, sito online anticastrista, a “Todos Marchamos”. Nonostante i passi avanti degli ultimi tempi, l’accesso a Internet sull’isola di Raúl è ancora un privilegio riservato a pochi, solo nel 5% delle case cubane c’è una connessione web. Questo ha avuto l’effetto di potenziare moltissimo l’uso degli sms sui cellulari. È dal 2008 che i cubani hanno la possibilità di sottoscrivere liberamente un contratto per il cellulare e oggi sull’isola ce ne sono tre milioni, un terzo dei quali attivati nell’ultimo anno, nonostante il costo di una chiamata nazionale equivalga alla metà di quel che si guadagna in una giornata di lavoro.
L’inchiesta di 14ymedio svela i dettagli di una nuova forma di censura ma da sempre è una abitudine dei cubani quella parlare di cose proibite attraverso allusioni e metafore. Ieri era “il cavallo” per Fidel Castro, oggi è “aspirina” per la pattuglia della polizia.