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 2016  settembre 07 Mercoledì calendario

Le profezie di Cerroni, l’Angelo della Monnezza che Roma ha ignorato di avere

Un uomo, in Ama, aveva capito. Un Angelo della Monnezza che Roma ha ignorato di avere. Che aveva osato sfidare il Sistema minacciando di condannare all’irrilevanza il Supremo, Manlio Cerroni, e messo in fuorigioco quel pezzo di Azienda e di clientele che gli era da sempre genuflesso. Che per primo aveva avvistato un’anomalia chiamata Paola Muraro, futura assessore e tricoteuse di una Rivoluzione spacciata per tale, ma in realtà Termidoro che doveva riconsegnare la monnezza di Roma ai soliti noti e a un blocco di interessi figli della stagione di Alemanno. Quell’uomo si chiama Alessandro Filippi. È uno schivo ingegnere romano di 46 anni, e, per 14 mesi, è stato direttore generale e finanziario di Ama. Arrivava dall’Acea e all’Acea è tornato a marzo. Con una lettera di encomio dell’allora Commissario Tronca e una certezza. La Rivoluzione a cinque stelle non lo avrebbe richiamato. Lo avrebbe piuttosto processato in contumacia. Perché nessuno potesse comprendere a chi la città stava per essere nuovamente consegnata.
LA RISATA DEL SUPREMO
La storia di Filippi va raccontata dalla fine. Da un pomeriggio del gennaio di quest’anno, negli uffici dell’Eur di Fise-Assoambiente, dove un signore di 90 anni, Manlio Cerroni, attende di incontrare due uomini, Filippi e Fortini, che vanno fermati. Con loro Cerroni ha un problema. Hanno “spento” il suo impianto di tritovagliamento di Rocca di Cencia, smettendo di conferirgli rifiuti. Quel tritovagliatore è la chiave del Sistema dei Rifiuti a Roma e del suo dominio. La carta decisiva di una partita il cui valore complessivo è 1 miliardo di euro l’anno (15, visto che la concessione di Ama per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti della città durerà tre lustri). Per quello stabilimento, nel 2014, Cerroni ha strappato da Giovanni Fiscon, allora direttore generale di Ama e oggi imputato nel processo “Mafia Capitale”, un contratto che definire tale è un eufemismo. 175 euro a tonnellata di rifiuti indifferenziati trattati. Che, con una media di mille tonnellate quotidiane, fanno 175 mila euro al giorno. 60 milioni l’anno. Un contratto che ha una clausola capestro. A Cerroni, nel caso di sottoutilizzo dell’impianto, Ama riconoscerà in ogni caso un compenso pari a 122.500 euro al giorno. Filippi ha scoperto che di quel tritovagliatore si può e si deve fare a meno se si vuole rendere Ama autosufficiente. Basta far lavorare a pieno regime i quattro impianti di Trattamento Meccanico Biologico di cui l’Azienda dispone. Due di proprietà (a Rocca Cencia e sulla via Salaria) e due dello stesso Cerroni (a Malagrotta). Se ne è convinto soprattutto dopo “l’avvertimento” arrivato nell’estate del 2015, quando l’impianto TMB di via Salaria viene incendiato. Il Supremo, quel pomeriggio, è sconcertato dal candore dei suoi interlocutori. Ride sarcastico e dice: «Davvero pensate di poter cambiare l’Ama? Siete due illusi e vi cacceranno».
LA SCRIVANIA DELLA MURARO
È un presagio facile facile. A liberarsi di Fortini, quando ormai Filippi è già fuori, pensano Paola Muraro e Virginia Raggi. Le due donne (la prima per giunta indagata), il 25 luglio, a Rocca Cencia, vendono trionfanti alla città la riapertura del tritovagliatore di Cerroni come il colpo di teatro che libera Roma dalla monnezza. Per giunta, nel singolare silenzio dei comitati di quartiere. È una menzogna. Il sistema di riciclaggio dei rifiuti indifferenziati, come Filippi ha dimostrato fino al suo addio, può stare in equilibrio con i 4 TMB, che sono in grado di smaltire le 2 mila e 800 tonnellate di indifferenziato che la città produce ogni giorno. Ma la Muraro ormai ha mano libera. E ha fretta di chiudere i conti. Filippi, del resto, la ricorda come la sua prima “scoperta” in Ama. Il giorno in cui raggiunge il suo ufficio di direttore generale scopre infatti che quella signora, “consulente esterna” da 12 anni della Municipalizzata, ha una scrivania esattamente nella sua anticamera, quella che fino a qualche giorno prima era stata di Giovanni Fiscon. Curioso per un’esterna. Come singolari sono gli atti che, per 12 anni, ne hanno regolato i rapporti con Ama e i suoi compensi pari a 1 milione e 350 mila euro. Non un contratto che uno. Solo lettere di incarico vistate per accettazione. Filippi annuncia alla Muraro che la sua consulenza si chiuderà nel giugno 2016. Che la sua posizione sarà messa a bando perché Ama, appunto, ha bisogno di internalizzare le sue competenze. Non fosse altro perché ciò di cui la Muraro non si è accorta in tanti anni di consulenze è che in uno dei TMB di cui è responsabile da 7 anni non viene messa in funzione quella sezione dell’impianto che consentirebbe il riciclaggio della plastica e dunque assicurerebbe una voce di potenziale guadagno per l’Azienda. È un ottimo motivo, evidentemente, per convincere la Muraro a offrirsi ai Cinque Stelle.
LA MACCHINA DEL RUMORE
Sappiamo come è andata. Anche se per chiudere il cerchio è necessario che si compia lo scempio della verità con cui nella narrazione della Raggi e della Muraro, i numeri dell’ultimo biennio dell’Ama vengono nascosti all’opinione pubblica. I due utili di bilancio nel 2014 (278 mila euro) e 2015 (893 mila euro), la riduzione dell’indebitamento finanziario, la riduzione dell’evasione e della morosità, l’incremento dei mezzi (+15 per cento), la riduzione dell’assenteismo del personale (dal 20 al 15 per cento), l’aumento della raccolta differenziata (+11 per cento). Fatti di cui la Rivoluzione non sa che farsene.