Corriere della Sera, 7 settembre 2016
Quanto tempo ci vuole per vedere l’Inghilterra fuori dall’Ue?
Sono passati più di due mesi dalla Brexit e i negoziati tra l’Unione Europea e il Regno Unito per definire i futuri rapporti ai vari livelli sono ancora ai preamboli. Il ritardo a chi e a che cosa è imputabile? Alla Ue, che ha davanti altre e più serie emergenze, o alla Gran Bretagna che, seguendo la linea attendista, ritiene di potere ottenere risultati a lei più convenienti? Oppure il passare del tempo, come accade nelle umane cose, serve meglio per ricucire lo strappo fra le due parti?
Mattia Testa
Caro Testa,
Quando era home secretary (ministro degli Interni), Theresa May disse di essere favorevole alla permanenza della Gran Bretagna nella Unione Europea e fece campagna insieme ai partigiani del «Remain». Ma non avrebbe scavalcato i suoi rivali di partito nella gara per la guida del governo, se avesse dato l’impressione di rifiutare il verdetto delle urne. Ha dichiarato che «Brexit significa Brexit» (una formula abile, ma piuttosto vaga), ha fatto leva sulla necessità di dare al Paese un governo il più rapidamente possibile, ha formato un ministero in cui i due campi sono equamente rappresentati e ha dimostrato ancora una volta che la Gran Bretagna può impartire lezioni di democrazia parlamentare ai Paesi del continente (con particolare riferimento al Belgio dove furono necessari 451 giorni per varare un governo, e alla Spagna, dove non sembrano bastare due elezioni per superare uno stallo politico).
Ma dopo questa brillante manifestazione di efficienza sembra essere giunto il momento della prudenza e della lentezza. Posso comprenderne le ragioni. Theresa May vuole capire anzitutto quali saranno gli effetti della Brexit sul suo Paese. Come inciderà sul bilancio della spesa pubblica? Quale impatto potrebbe avere sulle esportazioni britanniche verso gli Stati del continente? Avrà ripercussioni sulla credibilità di Londra come piazza finanziaria mondiale? Sarà necessario, per la Gran Bretagna, negoziare nuovi rapporti commerciali con tutti i Paesi del mondo?
Prima della trattativa con la Commissione di Bruxelles, il primo ministro britannico vorrebbe sapere anzitutto quali sono i punti su cui dovrà concentrare richieste e proposte. Spero che qualcuno a Bruxelles stia facendo la stessa cosa. Anche l’Ue, prima di cominciare a negoziare con la Gran Bretagna, ha bisogno di sapere quali sono i punti in cui conviene essere concilianti e quelli che devono essere affrontati con fermezza. Vi è un punto, in particolare, che dovrà essere trattato con intransigenza. La Gran Bretagna, molto probabilmente, cercherà di avere una voce in capitolo nelle decisioni e norme che l’Unione Europea dovrà adottare nei prossimi anni per fare progressi sulla strada della integrazione. A queste richieste bisognerà dire «no» e aggiungere, per maggiore chiarezza, che «Brexit significa Brexit».