Corriere della Sera, 7 settembre 2016
Giampaolo Pascali è l’italiano che vola di più. Storia di un pendolare tra due continenti
L’aereo l’ha perso pure lui. «Per ben due volte». Anche se, precisa, «non per colpa mia». Una giustificazione. O una consolazione: succede anche ai migliori. Come Giampaolo Pascali, l’uomo che in Italia vola di più. Quarantatré anni, professione manager, Pascali è pugliese d’origine e romano d’adozione. O, forse, sarebbe più preciso dire che ad «adottarlo» sono stati gli aerei, gli aeroporti e gli assistenti di volo. Quest’anno lo si incrocia spesso a Rio de Janeiro. A Milano è di casa, pardon, di scalo. Poi le capitali europee. E, quando riesce, alterna – stavolta per vacanza – gli Stati Uniti e casa sua, il Salento.
In dodici mesi Pascali ha percorso 400 mila chilometri ad alta quota, vale a dire dieci volte l’Equatore, distribuiti su 81 voli. «Contento? No, vuol dire che lavoro troppo», racconta «Mr. Mille Miglia», come lo chiamano in Alitalia (dove ne ha collezionate oltre 916 mila), la compagnia che lo trasporta di più. Consulente di strategia per grandi aziende, Pascali lavora per la società internazionale «A. T. Kearney». «In questi mesi seguo un grosso progetto in Brasile», spiega. «Sono diventato un pendolare tra i due continenti». Sposato con una francese, due figli di 6 e 8 anni dai quali torna appena può, Pascali fa almeno una volta alla settimana Roma-Milano-Roma, a cui aggiunge un collegamento verso una città europea. In più, ogni mese, un intercontinentale. Come minimo.
Il primo volo? «Nel 1998, a ben 22 anni», ricorda lui. «Viaggiavo per conto di Philips dove facevo lo stagista: mi chiamarono ad Eindhoven, in Olanda, e mi comprarono un biglietto in Business class». È stata anche la prima volta in una lounge. «Allora per i voli europei c’era la Business, oggi è quasi sparita». Per colpa – o grazie, dipende dai punti di vista – delle low cost.
Due gli appuntamenti (aerei) mancati. «La prima volta non sono salito a bordo perché mia moglie aveva sbagliato a leggere l’orario di partenza». La seconda volta il manager era arrivato in tempo. «Ma nella lounge mi sono messo a parlare con un cliente». Una conversazione così amabile che Pascali ha perso la cognizione del tempo. «E nella sala non annunciavano gli imbarchi». «Però in generale mi presento sempre in tempo – continua —. Riesco a calcolare i tempi di percorrenza di ogni aeroporto, un po’ come nel film Tra le nuvole». E così per un volo da Linate «basta muoversi 45 minuti prima: 20 minuti di strada, 25 per imbarcarsi». E da Fiumicino? Pascali prende tempo. «Diciamo che è un po’ più complicato», risponde diplomatico.
Quindi i suggerimenti. Il check-in? «Online, sempre». Il bagaglio? «Leggero ed essenziale: bisogna saper muoversi dai 30-35°C ai 5-6° in poche ore». E nel trolley cosa c’è? «Niente liquidi, ovvio. Un solo abito, che indosso in volo, tanto poi lo appendo così non si rovina. Un numero congruo di camicie. Jeans, due paia di scarpe, un piumino smanicato da usare in posti freddi». E, ovviamente, attenzione al documento: il passaporto deve essere valido almeno sei mesi.
Le cose che danno fastidio, a un habitué dei cieli, non sono poche. Come «la rigidità delle persone, compresa quella di hostess e steward. Io sono l’ultimo a spegnere il telefonino e il primo ad accendere il pc in volo. Ma lo faccio perché ci devo lavorare, mica per divertimento».
E il jet lag? Ormai non sa cosa sia. «Dormo in ogni situazione e non ho problemi a prendere sonno: è una condizione essenziale per chi vola molto. Mi addormento a comando, anche in taxi». Però in volo capita pure qualche istante di timore, durante le turbolenze: «Certo, l’aereo è il mezzo più sicuro al mondo. Ma una volta, su un Roma-Kiev a bordo di una compagnia ucraina mi sono un po’ preoccupato: c’era brutto tempo e il velivolo ha fatto il giro attorno alla pista per tre volte. Mi sono detto: ecco, magari stavolta non finisce bene».
Il prossimo viaggio è in Thailandia. Ma che aereo preferisce il passeggero Pascali? «Boeing 747 e Airbus A380». Ovvero, i bolidi dei cieli.