Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 07 Mercoledì calendario

Cinque terremoti, 4.091 morti, 22 processi e 14 condannati (e solo per pochi mesi)

Dal terremoto del Friuli (1976) a quello dell’Emilia (2012), passando per L’Aquila, Molise e Irpinia (4.091 vittime complessive), si è arrivati a 14 condanne, risultato di 22 processi. Per mancate ristrutturazioni e per non aver messo a norma gli edifici. La Procura di Rieti indagherà sugli edifici crollati nel sisma del Centro Italia.
Il procuratore di Rieti, Giuseppe Saieva, annuncia che indagherà su ogni edificio crollato nel terremoto del Centro Italia. L’esperienza degli altri inquirenti italiani che hanno dovuto confrontarsi con i sismi della Penisola degli ultimi 40 anni insegna però che non sarà facile arrivare a un risultato tangibile. Le indagini sono complesse, lunghe, rallentate da montagne di perizie e controperizie. Dal terremoto del Friuli del 1976 a quello dell’Emilia del 2012, passando per L’Aquila, Molise e Irpinia (4.091 vittime complessive), si è arrivati ad appena 14 condanne definitive che sono il risultato di 22 processi. Progettisti, collaudatori, sindaci, ma c’è anche un preside e l’ex vice capo dipartimento della Protezione civile. Sono stati condannati per aver costruito male, per le mancate ristrutturazioni, per non aver messo a norma gli edifici. Il quadro è variegato. Tutte le procure indagano per omicidio colposo e disastro colposo, ma gli sviluppi sono diversi. Ernesto Aghina, all’epoca giovanissimo magistrato a Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino) che lavorò a lungo sul devastante sisma dell’Irpinia, ricorda come «i periti accertarono che gli edifici erano stati costruiti male ma secondo i giudici la forza del sisma fu tale che anche se fossero stati edificati bene sarebbero comunque crollati». Contro la natura talvolta anche la giustizia deve abbassare la testa. Come a Modena, dove l’indagine sul crollo della Hermotronich, sotto le cui macerie persero la vita 4 operai, si è chiusa con un’archiviazione. Il procuratore Lucia Musti l’ha spiegata così: «Abbiamo fatto un’indagine a 360 gradi, sentito decine di testimoni, disposte molte perizie. Non è emersa alcuna responsabilità».

Emilia
I n Emilia sono crollati soprattutto i capannoni industriali. Ed è lì che si sono concentrate le inchieste giudiziarie delle procure di Modena e Ferrara, le province più colpite dal terremoto che il 20 e 29 maggio del 2012 fece 27 vittime, in maggioranza dipendenti di aziende distrutte. Inizialmente erano stati aperti circa 15 fascicoli per altrettanti crolli e gli indagati erano 53 (23 a Modena e 30 a Ferrara). Di questi, 4 anni dopo la tragedia, 12 si sono trasformati in imputati contro i quali nel 2017 verranno celebrati tre distinti processi per i crolli dei capannoni industriali (due a Ferrara e uno a Modena). Al momento, dunque, nessuna condanna. Il 16 gennaio a Ferrara riprenderà il via al processo alla Tecopress dove il 20 maggio 2012 perse la vita un operaio che faceva il turno di notte. Cinque gli imputati: i progettisti, il collaudatore, il titolare dell’azienda e la responsabile della sicurezza. Il pm Ciro Savino contesta all’imprenditore, per la prima volta nell’ambito di un sisma, la violazione delle norme di sicurezza sui luoghi di lavoro nonostante non esistessero nel Ferrarese obblighi di legge. Il 13 dicembre sarà la volta dell’Ursa di Bondeno (una vittima) con due imputati per omicidio colposo e due nuovi indagati sui quali il pm sta valutando. Sempre a Ferrara potrebbe esserci un terzo processo, quello alla Ceramica Sant’Agostino dove morirono due operai e per il quale la procura ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di tre tecnici e del titolare dell’azienda. Il 19 gennaio partirà invece l’unico processo di Modena, quello per il crollo della Meta di San Felice sul Panaro, dove il 29 maggio persero la vita un ingegnere e due operai. Tre gli imputati: il sindaco di San Felice Alberto Silvestri, il capo dell’ufficio tecnico dello stesso Comune e il tecnico di parte che rilasciò il certificato di agibilità del capannone dopo la prima scossa sismica. Oltre all’omicidio colposo plurimo, la procura contesta il falso: il documento sull’agibilità sarebbe stato sostituito dopo il crollo con un testo modificato.
L’Aquila
I n Emilia sono crollati soprattutto i capannoni industriali. Ed è lì che si sono concentrate le inchieste giudiziarie delle procure di Modena e Ferrara, le province più colpite dal terremoto che il 20 e 29 maggio del 2012 fece 27 vittime, in maggioranza dipendenti di aziende distrutte. Inizialmente erano stati aperti circa 15 fascicoli per altrettanti crolli e gli indagati erano 53 (23 a Modena e 30 a Ferrara). Di questi, 4 anni dopo la tragedia, 12 si sono trasformati in imputati contro i quali nel 2017 verranno celebrati tre distinti processi per i crolli dei capannoni industriali (due a Ferrara e uno a Modena). Al momento, dunque, nessuna condanna. Il 16 gennaio a Ferrara riprenderà il via al processo alla Tecopress dove il 20 maggio 2012 perse la vita un operaio che faceva il turno di notte. Cinque gli imputati: i progettisti, il collaudatore, il titolare dell’azienda e la responsabile della sicurezza. Il pm Ciro Savino contesta all’imprenditore, per la prima volta nell’ambito di un sisma, la violazione delle norme di sicurezza sui luoghi di lavoro nonostante non esistessero nel Ferrarese obblighi di legge. Il 13 dicembre sarà la volta dell’Ursa di Bondeno (una vittima) con due imputati per omicidio colposo e due nuovi indagati sui quali il pm sta valutando. Sempre a Ferrara potrebbe esserci un terzo processo, quello alla Ceramica Sant’Agostino dove morirono due operai e per il quale la procura ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di tre tecnici e del titolare dell’azienda. Il 19 gennaio partirà invece l’unico processo di Modena, quello per il crollo della Meta di San Felice sul Panaro, dove il 29 maggio persero la vita un ingegnere e due operai. Tre gli imputati: il sindaco di San Felice Alberto Silvestri, il capo dell’ufficio tecnico dello stesso Comune e il tecnico di parte che rilasciò il certificato di agibilità del capannone dopo la prima scossa sismica. Oltre all’omicidio colposo plurimo, la procura contesta il falso: il documento sull’agibilità sarebbe stato sostituito dopo il crollo con un testo modificato.
Molise
C i vollero dieci anni di processi prima di arrivare alla condanna dei cinque responsabili del crollo della scuola elementare di San Giuliano di Puglia (Campobasso) provocato dal terremoto che alle 11.32 del 31 ottobre 2002 colpì il Molise: per la morte di 27 bambini e di una maestra i giudici condannarono in via definitiva a 5 anni (3 indultati) il progettista Giuseppe La Serra, gli imprenditori Carmine Abiuso e Giovanni Martino e il dipendente comunale Mario Marinaro (ottennero l’affidamento ai servizi sociali) mentre 2 anni e 11 mesi furono inflitti all’allora sindaco Antonio Borrelli che nel crollo aveva perso una figlia. Un sesto imputato fu assolto. Quella tragedia incarna forse più di ogni altra nella memoria collettiva il simbolo degli errori costruttivi che fanno stragi nei terremoti. Se si escludono altre due persone morte in altre circostanze, 61 feriti e circa tremila sfollati, i bambini e la maestra furono praticamente le uniche vittime del sisma di magnitudo 5.7 che gli strumenti dell’Istituto nazionale di Geofisica registrarono a una profondità di circa 20 chilometri con epicentro tra Santa Croce di Magliano, San Giuliano di Puglia e Larino, una zona in provincia di Campobasso al confine tra Molise e Puglia. Durante le indagini, i periti della procura di Larino accertarono che a far crollare l’edificio scolastico era stata una sopraelevazione realizzata un anno prima senza fare i calcoli necessari, a partire da quelli sul peso che sarebbe andato a gravare sulla struttura preesistente che risaliva al 1954. Il processo si chiuse il 23 maggio 2012, quando la terza sezione penale della Corte di Cassazione confermò a vario titolo le condanne per falso, omicidio, disastro e lesioni colpose respingendo i ricorsi presentati dalle difese. In precedenza, a settembre 2011, era stato condannato per omicidio colposo a due anni e 11 mesi l’ex sindaco Borrelli. La scuola fu ricostruita in una settimana grazie ai fondi raccolti da una sottoscrizione del Corriere e Tg5.

Irpinia
A poco più di due mesi da uno dei più forti terremoti della storia italiana, la Procura della Repubblica di Sant’Angelo dei Lombardi emise una raffica di comunicazioni giudiziarie (ora si chiamano informazioni di garanzia) ipotizzando i reati di omicidio colposo, crollo di edificio a carico di 107 presone tra le quali costruttori, progettisti e committenti ritenuti responsabili di non aver rispettato le norme antisismiche nella costruzione di edifici venuti giù come castelli di carte seppellendo centinaia di persone. La terra aveva tremato per ottanta interminabili secondi alle 19.34 del 23 novembre 1980 con una terrificante magnitudo di 6.8 che devastò un’area enorme a cavallo della Campania e della Basilicata, con epicentro in Irpinia, tra i comuni di Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni e Conza. Ma l’azione della magistratura non portò a nulla perché coloro che finirono sotto inchiesta uscirono poi indenni dai processi per i crolli, assolti o grazie alla prescrizione. Furono 2.735 i morti, 8.850 i feriti, 280 mila i senza tetto e 600 mila gli edifici danneggiati. Il processo per il crollo dell’ospedale Sant’Angelo dei Lombardi, le cui macerie seppellirono un centinaio di persone, tra le quali molti bambini, così come quello relativo a un edificio di 4 piani, che schiacciò e uccise 21 persone, finirono senza condanne. Anche il processo per il crollo a Balvano (Potenza) della chiesa di Santa Maria dell’Assunta, che uccise 40 adulti e 26 bambini schiacciati dal pesante solaio in cemento armato con il quale era stato sostituito il precedente in legno, si concluse nel 1987 con l’assoluzione del parroco e del costruttore. Erano stati condannati in primo grado a tre anni e otto mesi di reclusione, ma poi furono assolti in appello con una sentenza confermata in Cassazione. In moltissimi casi, infatti, a seguito di perizie tecniche i giudici conclusero che anche se i lavori di costrizione fossero stati fatti a regola d’arte, come non era accaduto, la violenza del terremoto era stata tale che essi sarebbero caduti ugualmente.
Friuli
Lavorava in una tenda con scritto «Procura della Repubblica» e aveva la grinta del giovane pm davanti al disastro più grande della sua terra: 989 morti, 45 mila senzatetto, un terremoto devastante. Gianpaolo Tosel, oggi 76 anni, una vita da magistrato e pm di riferimento del sisma del 1976, ha tutto scolpito nella memoria: «Le indagini, i processi a cielo aperto in un’aula d’udienza con il tetto mezzo crollato, gli imputati, quei due sciacalli che arrivarono in barella perché la gente li aveva menati. Era una direttissima con dieci indagati: tutti condannati a 7 anni, uno per il furto di un candelabro che valeva mille lire». E le indagini sugli edifici crollati? «Nessuna». Non ci furono inchieste per omicidio colposo o disastro colposo legate alla costruzione di case, palazzi, capannoni e chiese venuti giù. Il motivo? «Beh, perché non abbiamo trovato edifici costruiti con la sabbia; ma anche perché erano altri tempi: 40 anni fa non esisteva la normativa antisismica di oggi. Ma al di là di queste considerazioni bisogna dire che la ragione dei crolli è tutta nell’intensità del terremoto, violentissimo, senza precedenti. Non sono stati coinvolti palazzi moderni che potevano fare centinaia di vittime. La scossa del 6 maggio 1976 ha distrutto soprattutto le vecchie costruzioni». Vecchi edifici che poi furono oggetto di una ricostruzione esemplare. «I friulani si misero a lavorare subito come formiche perché questa era terra di muratori, artigiani, contadini. Poi arrivò Zamberletti con la sua visione aperta che verteva sul decentramento a favore degli enti locali. Quella scelta funzionò solo perché le amministrazioni erano sane». Risultato: in cinque anni la metà dei senzatetto (80 mila) ebbe una sistemazione definitiva. Inchieste sulla ricostruzione? Vennero indagate dalla Finanza le ditte (37) che consegnarono i prefabbricati, sui quali c’era il sospetto di guadagni illeciti. Scattarono anche un paio di arresti, un sindaco e il braccio destro del commissario per l’emergenza Zamberletti. «Scandalo che si risolse in una sciocchezza».