Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 06 Martedì calendario

A Gavino Cerchi di Lecco gli hanno dato del pedopornografo e lo hanno anche arrestato. Peccato però che il colpevole era un suo omonimo che abitava a Sassari. Un altro caso di malagiustizia

La dabbenaggine e il pressappochismo (che, quando si tratta di togliere la libertà a una persona, non dovrebbero mai esistere) hanno rovinato la vita di un uomo. Si tratta di Gavino Cherchi, operaio di 48 anni da Lecco. Accusato di pedopornografia e violenza sessuale sui minori, venne arrestato dai poliziotti della questura locale con le armi in pugno. Ovviamente finì su tutti i giornali coprendosi della riprovazione (giusta, se i fatti a lui attributi fossero stati veri) di tutti coloro che lo conoscevano e anche di coloro che non lo conoscevano affatto ma che ne sono venuti a conoscenza in questa occasione. Senonché il pedopornografo era un altro. Aveva lo stesso nome e cognome ma era più vecchio di lui di due anni e, per di più, risiedeva a Sassari, su un’isola, non sul lago come l’innocente che è stato arrestato a suo nome. Per dimostrare la sua innocenza Cherchi ha dovuto dare l’incarico a un avvocato che adesso giustamente chiede 8 mila euro. Che Cherchi non ha. Ma lo Stato che lo ha violentato (questo è il verbo giusto) guarda da un’altra parte. Le scuse non bastano? No che non bastano!