Il Messaggero, 6 settembre 2016
Metti Rocco Siffredi al Lido: «Il futuro del porno è la bisessualità senza limiti»
Qualche anno fa sarebbe stato impensabile ma oggi Rocco Siffredi, il re del porno, sbarca alla Mostra di Venezia con tutti gli onori. Il documentario sulla sua vita Rocco, diretto dai francesi Thierry Demazière e Alban Teurlai (nelle sale con Bim dal 31 ottobre al 3 novembre), è uno dei titoli forti delle Giornate degli Autori. Sullo schermo il protagonista, 52 anni di cui una trentina passati a diventare un mito dell’hard, racconta la parte più intima di sé, quella che centinaia di film per adulti non hanno mai mostrato.
È lo sdoganamento definitivo dopo i reality, la pubblicità, la contestatissima copertina del settimanale di Le Monde in cui appariva nudo: per Rocco, al Lido, si è mobilitata la stampa internazionale e i fan fanno la coda per vedere da vicino il loro idolo. E scoprire che Rocco Tano da Ortona, in arte Siffredi, prova sensi di colpa per il suo lavoro, è felice che i due figli non seguiranno le sue orme e, udite!, dopo ogni scena hard chiede perdono alla moglie.
Che bisogno aveva di raccontarsi in un documentario?
«L’ho fatto per sincerità nei confronti dei miei fan: conoscono tutto del mio corpo ma non sanno nulla della mia anima. Esporla davanti alla cinepresa, raccontare la mia vita senza filtri né alterazioni è stato più difficile che apparire nudo».
Cosa svela, il film, che già non si sappia di lei?
«Moltissime cose. La mia infanzia da chierichetto: mia madre mi voleva prete. La mia ossessione precoce per il sesso, che mi ha portato ad essere diverso dai coetanei e a fare il lavoro che ho sempre sognato. Le mie fragilità. I miei demoni e i miei angeli».
Può spiegarsi meglio?
«Il diavolo è proprio il sesso: l’ho imparato dall’educazione cattolica che ha reso le mie scelte sempre difficili. Gli angeli sono i componenti della mia famiglia».
Come si fa a costruirne una, con il suo mestiere?
«Lavorare nel sesso ti toglie molto, soprattutto l’intimità, ma io sono fortunatissimo ad avere la stessa moglie da 25 anni, Rosza, e due figli meravigliosi mentre intorno a me vedo solo divorzi e famiglie sfasciate».
Fa la pornostar anche Rosza?
«Macché, ho provato a coinvolgerla per averla vicina, ma lei si è limitata a girare quattro-cinque film con me, poi ha detto basta. È una donna romantica e quando torno dal lavoro cerco il suo sguardo per capire se mi ha perdonato».
L’esplosione di pornografia sul web ha cambiato il vostro lavoro?
«Totalmente. Noi siamo sempre stati professionali: malgrado il contesto hard curavamo le storie, le luci, i dialoghi. Oggi, su internet, il porno è in mano a dilettanti e hacker che riducono il sesso a una performance atletica e propongono il feticismo estremo».
Cosa vi inventerete per sopravvivere?
«Non so prevederlo. Per eccitarsi la gente vuole sempre di più. Forse il futuro del porno, ma anche del sesso, è la bisessualità senza limiti».
Esiste una nuova Moana Pozzi?
«Non scherziamo, lei era unica. Oggi le ragazze che vogliono diventare pornostar imparano tutto su Internet e sono espertissime, già al primo film sono disposte a prestazioni estreme. Che tristezza, non è vero sesso quello imparato sul web».
A Venezia si sente finalmente sdoganato?
«Sono onorato e felice di essere alla Mostra: è il riconoscimento della mia professionalità e dell’impegno che ho messo sempre nel mio lavoro».
Non teme che le sue confessioni demoliscano il mito Siffredi?
«No. Ho detto sì a Demazière e Teurlai perché volevo essere ascoltato e non giudicato. Sono un uomo, non un supereroe».