La Stampa, 6 settembre 2016
Indagine sull’avanzata dei populisti tedeschi di AfD
Il giorno dopo lo choc delle regionali in Meclemburgo-Pomerania Anteriore, che hanno segnato per la prima volta il sorpasso dei populisti di destra della AfD sulla sua Cdu, Angela Merkel si è assunta la corresponsabilità del tracollo. Il risultato, ha ammesso a margine del G20 in Cina, ha a che fare con le politiche migratorie, «io sono la leader del partito e la cancelliera, per i cittadini le due cose sono inseparabili, per cui sono ovviamente anche responsabile». Merkel si è detta «molto insoddisfatta» del voto, ma non intende cambiar linea sui migranti: le decisioni dei mesi scorsi sono state giuste, adesso ognuno, «e io anzitutto», deve riflettere su come riconquistare la fiducia delle persone. Un messaggio lanciato a quanti, specie nella bavarese Csu, scalpitano per una correzione di rotta. C’è bisogno di un tetto al numero dei rifugiati e di rimpatri più rapidi, ha tuonato il segretario generale della Csu, Andreas Scheuer. Un ennesimo scontro tra Cdu e Csu su migranti, sicurezza e integrazione non farebbe che portare nuova acqua al mulino della AfD.
La sua leader, Frauke Petry, è tornata all’attacco, tacciando la Cdu di «ignoranza» e «arroganza del potere». Più pesante il commento del suo vice, Alexander Gauland: «La Cdu è un guscio vuoto sul quale troneggia Frau Merkel». E Jörg Meuthen, che guida il partito insieme a Petry, si è spinto oltre: «Sul lungo termine vogliamo governare in questo Paese». E pensare che un anno fa la AfD viaggiava nei sondaggi nazionali intorno al 4%. Poi è arrivata l’emergenza rifugiati, che ha finito per salvarla.
Oggi riunisce diverse anime. Se l’ala neoliberale è passata in secondo piano dopo l’uscita di scena dell’ex numero uno Bernd Lucke, messo alla porta da Petry, è cresciuto invece il peso di due correnti: da una parte quella conservatrice, che si riconosce «nella famiglia tradizionale come modello guida», chiede «più bambini invece dell’immigrazione di massa», non vuole finanziamenti pubblici ai gender studies e si oppone alle quote rosa in quanto «ingiuste» (come si legge nel programma nazionale, approvato a maggio) e la cui esponente più nota è l’europarlamentare Beatrix von Storch, che a Bruxelles siede nel gruppo Efdd insieme al M5S e a Nigel Farage e ha definito il voto di domenica «l’inizio della fine dell’era Merkel»; dall’altra parte la “Nuova Destra”, più radicale nelle richieste e negli slogan, che è accusata di avere contatti con l’estrema destra e ha il suo punto di riferimento in Bernd Höcke, leader in Turingia (a Est). Petry prova a fare da trait d’union, non sempre con successo: la AfD è molto litigiosa al suo interno, sia a livello nazionale che regionale, anche se ciò non la danneggia agli occhi degli elettori.
Il partito, che riesce in modo camaleontico a presentarsi in maniera più nazionalista nelle regioni orientali e più moderata in quelle occidentali, si schiera a difesa della «cultura guida tedesca contro il multiculturalismo», il quale, secondo il suo programma, rappresenta una «seria minaccia alla pace sociale e alla continuità della Nazione come unità culturale», si posiziona contro l’Islam («non fa parte della Germania») e vorrebbe vietare il velo integrale in pubblico senza se e senza ma, sollecita la fine dell’«esperimento dell’euro» e, in caso contrario, un referendum sulla permanenza di Berlino nell’Eurozona, vuole rafforzare la polizia e riattivare la leva obbligatoria e auspica uno stop dell’uscita della Germania dal nucleare.
Il Meclemburgo-Pomerania Anteriore ha confermato trend già visti alle precedenti regionali. La AfD sfonda tra lavoratori e disoccupati (tradizionale clientela della Spd), tra i quali domenica si è rivelata primo partito e raccoglie molti consensi anche tra i liberi professionisti. Attira soprattutto il voto maschile: domenica l’hanno scelta il 17% delle donne, ma il 25% degli uomini, rivela l’istituto Forschungsgruppe Wahlen. E poi non sottrae solo preferenze a tutti i partiti, ma pesca con successo anche nel bacino dell’astensionismo. Segno che la strategia di Petry e Meuthen, che puntano a intercettare il malumore di quanti si sentono dimenticati dalle formazioni tradizionali e pensano che con Merkel la Germania faccia di più per i rifugiati che per i tedeschi, sta facendo presa.