Il Sole 24 Ore, 6 settembre 2016
Intanto in Siria si continua a morire
Tante buone intenzioni, parole rassicuranti da entrambi i presidenti, ma alla fine ancora un nulla di fatto. Stati Uniti e Russia non sono riusciti a raggiungere un accordo per dare via a un credibile – quanto urgente – cessate il fuoco in Siria. Ancora meno a superare le reciproche divisioni sul destino del presidente siriano Bashar al-Assad e del regime di Damasco.
Dopo cinque anni di guerra civile, ed oltre 270mila morti, la polveriera siriana continua a mietere vittime. La scia di attentati – rivendicati dall’Isis – avvenuta ieri in diverse parti del territorio controllato dal regime di Damasco – è la conferma che, per quanto indebolito e isolato, lo Stato islamico è ancora in grado di colpire duramente un Paese già al collasso e di infiltrare i suoi emissari dappertutto. E soprattutto di avere a disposizione un esercito di kamikaze, difficile da quantificare, ma decisamente numeroso. Ancora una volta tutti gli attentati di ieri – il bilancio provvisorio è di 54 morti – sono avvenuti infatti per mano di aspiranti uomini bomba. Diverse esplosioni si sono verificate in contemporanea in aree sotto il controllo governativo a Homs, Tartous, nel Rif di Damasco. Ma non solo. Due attentati hanno colpito anche due aree sotto il controllo delle Unità di protezione curde (Ypg) nelle città nordorientali di al-Hasakah e al-Qamishli.
A Saboura, a ovest di Damasco, un kamikaze si è fatto esplodere con un’autobomba presso un check-point del regime. A Homs, un altro kamikaze ha preso di mira un altro check-point governativo. Ma è a Tartous che gli attentati hanno sollevato più clamore. Non solo perché sono stati tre, tutti contro le forze del regime, e tutti con autobomba. E non solo per l’alto numero di vittime, 38. Ma anche perché Tartus, roccaforte del regime, è il secondo porto siriano e nelle sue vicinanze ospita l’unica base navale russa sul Mediterraneo. Anche gli attentati nei territori controllati dai curdi sono stati diretti contro le forze di sicurezza.
Gli occhi del mondo erano puntati su Hangzhou, la città cinese che ha ospitato il vertice del G20 Ci si aspettava molto dall’incontro tra il presidente americano Barack Obama e quello russo, Vladimir Putin. Ma il fallimento, poche ore prima, dei colloqui finalizzati al raggiungimento di una tregua tra il segretario di Stato John Kerry e il suo omologo russo Sergey Lavrov, aveva lasciato poche speranze. Al di là delle rassicuranti parole espresse da Obama e Putin, dopo un colloquio durato un’ora e mezza, le divisioni restano grandi.
«Abbiamo avuto una conversazione produttiva sulla forma che potrebbe prendere una reale cessazione delle ostilità che consentirebbe a entrambi di concentrarci sui nemici comuni» ha dichiarato Obama, definendo i toni dell’incontro «schietti» e «franchi». Ma poi il presidente americano ha precisato come il «divario delle fiducia» non sia stato superato in modo che «possa funzionare».
Putin è apparso ancora più rassicurante. «Credo che siamo sulla strada giusta e potremmo, almeno per un certo periodo, mettere in pratica gli sforzi vicendevoli per rendere la situazione in Siria migliore». Putin ha poi aggiunto che un accordo con Washington potrebbe essere firmato già «nei prossimi giorni», senza però fornire dettagli. «Possiamo dire che il nostro lavoro reciproco con gli Usa nella lotta al terrorismo, anche in Siria, sarà significativamente incrementato e intensificato» ha proseguito Putin, precisando. «Nonostante tutto, c’è un certo riavvicinamento delle posizioni e una comprensione di cosa potremmo fare per la descalation della situazione in Siria».
A dividere Russia e Stati Uniti sono sempre gli stessi argomenti. Il destino del presidente siriano Assad, alleato di Mosca, nella futura – e non scontata – transizione. Altro punto di attrito è la diversa classificazione dei gruppi dell’opposizione siriana. Non è un dettaglio che alcune fazioni di ribelli appoggiati da Washington siano sulla lista dei terroristi di Mosca e Damasco. E che gli Hezbollah, che combattono insieme a siriani e russi, siano definiti organizzazione terroristica da Washington. Altro argomento di tensione sono le recenti denunce sull’uso di armi chimiche (non è laprima volta) in Siria da parte del regime. Naturalmente smentite da Mosca e Damasco.