Corriere della Sera, 6 settembre 2016
Raggi e Muraro si nascondono dietro le parole
Ancora ieri mattina, su questo giornale, la sindaca di Roma Virginia Raggi spiegava che l’assessora Muraro «mi ha garantito che non le è arrivato neanche un avviso di garanzia; prima di giudicare vogliamo vedere le carte». Giocavano con le parole, la sindaca e l’assessora.
Perché il problema non era e non è l’avviso di garanzia, bensì la consapevolezza di un’indagine su Paola Muraro, avviata dalla Procura di Roma prima ancora del suo ingresso nella Giunta. E comunicata all’interessata, su sua richiesta, alla fine di luglio.
Come tutti ormai dovrebbero sapere – e in primo luogo gli amministratori pubblici, visto l’uso che se ne fa in politica da oltre vent’anni – l’assenza di un avviso di garanzia non esclude affatto l’esistenza di un’inchiesta penale; quella è un’informazione che il codice prevede venga inviata se e quando c’è necessità di svolgere atti che prevedono la presenza dell’avvocato difensore, altrimenti un procedimento può arrivare a conclusione senza che l’interessato sia mai stato avvertito prima.
Ma nel caso Raggi-Muraro non è nemmeno così, perché a sua domanda la neoassessora era stata informata. E, ammette ora Raggi, aveva a sua volta avvisato il Campidoglio. Perché continuare a nascondersi dietro quel pezzo di carta mancante che non cambia la sostanza delle cose? C’è il sospetto che sia stato un alibi per prendere tempo e non rispondere nel merito; e c’è da sciogliere il nodo sulla consapevolezza dei vertici del Movimento, che la sindaca sostiene di aver ragguagliato, mentre gli interessati negano. Una grana non da poco, per chi s’è impegnato a governare in nome della trasparenza.
E ancora: ognuno è libero di gestire come crede le connessioni tra vicende giudiziarie e vicende politiche. Si può ritenere che un’indagine preliminare sia un macigno insormontabile, oppure valutare che neppure una sentenza definitiva debba essere di ostacolo. Questioni di punti di vista, tutti legittimi, che poi vengono giudicati dagli elettori. Quello che pare meno legittimo è avere metri di giudizio differenti a seconda di contingenze e convenienze. Finora i Cinque Stelle si sono mostrati inflessibili con chi aveva nascosto i propri guai legali, dal sindaco di Parma Federico Pizzarotti a quella di Quarto Rosa Capuozzo. Colpevoli di aver taciuto avvisi di garanzia (sempre loro!) e altri aspetti di inchieste giudiziarie in corso. Perché stavolta s’è fatto finta di niente?
Si dirà che Paola Muraro non è un’iscritta al Movimento, ma una personalità tecnica chiamata per le sue competenze. Ma quando ci fu da eleggere in Parlamento i giudici costituzionali, lo scorso autunno, una personalità esterna come la professoressa Silvia Niccolai rinunciò alla candidatura propostale dai grillini perché consapevole di essere sotto inchiesta per presunti condizionamenti di alcuni concorsi universitari (nelle scorse settimane è arrivata una richiesta di archiviazione); il Pd invece mantenne la candidatura di Augusto Barbera, inquisito nello stesso procedimento, e dai Cinque Stelle arrivarono gli strali per questa scelta. L’abbandono della Niccolai – probabilmente ingiusto all’esito del procedimento, e forse questo dovrebbe spingere a qualche riflessione in più su come maneggiare la materia – fu rivendicato come una sorta di fiore all’occhiello. Che cosa è cambiato da allora? E che cosa succederà adesso con l’assessora Muraro, nominata da inquisita e mantenuta nella carica anche dopo la comunicazione ufficiale dell’inchiesta a suo carico?