la Repubblica, 6 settembre 2016
Chemio e interventi sono gli unici strumenti che possono sconfiggere il cancro. I dottori devono spiegarlo bene ai malati
È una guerra di trincea. Cruenta, dolorosa. Combattuta per conquistare la vita, cellula dopo cellula. Inutile girarci attorno: il cancro non fa sconti. Non si ferma per l’intervento del caso, mangiando bene, restando sereni. Ma solo sparando senza sosta. Con armi pesanti, intelligenti, frutto del lavoro di migliaia e migliaia di ricercatori; le migliori teste della biomedicina che da decenni affinano i proiettili. Con successo: quarant’anni fa una diagnosi di tumore era una condanna a morte, oggi più della metà degli italiani che, come Eleonora Bottaro e Alessandra Tosi, se la trovano davanti ce la fa. Eleonora e Alessandra hanno deciso di non combattere e il cancro ha vinto. Perché, senza farmaci, il cancro vince sempre. Potevano guarire? I medici dicono di sì.
Eleonora Bottaro era malata di leucemia linfoblastica acuta, un tumore del sangue: a 17 anni, la sua età, le probabilità di vincere sono più del 50%. Alessandra Tosi è stata colpita al seno, il tumore che i medici sanno aggredire meglio. Entrambe avevano davanti mesi di chemio, l’artiglieria pesante degli oncologi, così pesante che spaventa, che può anche uccidere tanto è tossica; ma che può oggi essere tenuta sotto controllo da una serie di terapie di supporto che ne diminuiscono gli effetti più insopportabili, dalla nausea alle infezioni all’anemia.
Oggi Eleonora e Alessandra non ci sono più. E si apre il processo a quel sedicente guaritore tedesco, Ryke Geerd Hamer, che non crede nella malattia delle cellule dando tutta la colpa ai dolori dell’anima e pretende di sanare il corpo riportandolo all’armonia con l’universo. Ma i numeri dell’oncologia parlano chiaro: con le terapie, la mortalità è diminuita del 28% dal 1980 a oggi. Vivono oggi in Italia 3,5 milioni di persone che hanno doppiato la boa dei 5 anni dalla diagnosi: testimonial in carne e ossa dell’efficacia delle terapie, di cui la chemio è la testa di ponte.
Le curve dei biostatistici, però, non fanno i conti con la vita delle persone. E gli Hamer si insinuano promettendo di cancellare la diagnosi senza combattere. Il fatto è che l’intervento chirurgico elimina la neoplasia visibile: difficile allora intuire che il male non c’è più ma, forse, le sue cellule stanno migrando nel nostro corpo, letali come la neoplasia visibile. Difficile soprattutto perché dopo l’intervento si sta bene; e si fatica ad accettare che no, invece, bisogna intraprendere un iter doloroso. «Ma oggi anche la chemioterapia è diventata molto più tollerabile – chiosa Francesco Cognetti, direttore della divisione di Oncologia medica dell’Istituto dei tumori di Roma – innanzitutto perché lavoriamo le dosi in modo da ridurre al massimo la tossicità». Che però c’è. E i pazienti lo sanno: nausea, vomito, perdita dei capelli, sindromi cardiache, ulcere in bocca, diarrea, stipsi. «Con i farmaci che abbiamo oggi – aggiunge Cognetti – solo un 5% dei pazienti soffre ancora di nausea o vomito. E meno del 10% di aritmie o insufficienze cardiache». L’armamentario dei medici si è arricchito di antidoti contro le principali manifestazioni della tossicità: antibiotici e fattori di crescita contro le infezioni, farmaci specifici contro le ulcere in bocca e la diarrea. Poi c’è il controllo dell’alimentazione. Insomma, il dispensario è pieno di fiale e pastiglie disegnate per contrastare gli effetti collaterali delle terapie.
Un’arma a doppio taglio. Perché è spesso proprio la medicalizzazione che accompagna mesi e mesi di vita a impaurire i malati. Unita al fatto che la guerra col cancro è un testa o croce. Non è detto che vinceremo, e l’incertezza alimenta la voglia di lasciar fare alla natura. Il 50% di probabilità di farcela, e spesso anche meno, sembra poco, ma, annota Cognetti: «Con la terapia può essere 70, 50, 30, senza è zero».
Quelli come Hamer promettono di guarire tout court, e propongono rimedi naturali, rassicuranti. Inutili, ma rassicuranti. Gli oncologi mettono in campo un armamentario difficile da decifrare. «Dovremmo avere più tempo da dedicare ai malati. Spiegare bene è un antidoto ai ciarlatani», commenta l’oncologo. E invece i medici possono trascorrere col malato 15 minuti al massimo, danno informazioni telegrafiche. Le persone si sentono sole contro il cancro, non lo capiscono e vedono il pericolo di composti misteriosi di cui sanno solo quanto li faranno sentire male. Il dolore prende il sopravvento sulla razionalità. L’oncologia ha dimostrato di saper combattere il grande male, ma, di fronte alle storie di Eleonora e Alessandra, gli addetti ai lavori si dicono che è venuto il momento di parlarne ai malati.