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 2016  settembre 05 Lunedì calendario

L’italian style sui campi degli Us Open

«Mi può dare del tu, se crede, Dottor Clerici». Così mi aveva apostrofato Paolo Lorenzi, e aveva poi proseguito a spiegarmi, in termini rispettosi e civili, che la sua era una famiglia di medici, e anche lui si sarebbe laureato, in ritardo causa tennis. Avevo assentito, prendendo nota della sua esistenza, sin lì sfuggitami, e avevo aggiunto che anch’io mi ero laureato tardi, grazie a una grave malattia che, nel distruggermi la speranza di diventare campione, mi aveva offerto un mestiere, quel che necessita per vivere.
Mi avesse detto che sperava di rivedermi sul Centrale di New York l’avrei sconsigliato da quella ipotesi onirica, gli avrei suggerito di affrettarsi verso la laurea. Eccolo invece lì, su un campo nel quale ho messo i piedi una volta, da telecronista, prima che un incaricato mi scacciasse. Eccolo lì, tra gli applausi dei molti sostenitori degli underdog, come gli aficionados Usa chiamano chi non è favorito. Di fronte a lui Murray, capace di vincere quest’anno oro olimpico e Wimbledon, e quindi n. 2, con attendibile prospettiva di n. 1.
A chi guardava con me, nel mio club, la tv, avevo appena detto che mi aspettavo qualcosa come un triplice 6/3, se andava bene. Invece Lorenzi prendeva a palleggiare alla pari, con un rovescio di lunghezza e peso non inferiore a quello bimane di Murray, uncinava il diritto e addirittura lo vedevo vicino alla rete, con una buonissima chiusura degli angoli. Murray è ormai celebre per i suoi monologhi. Sarà uscito dalla gravitazione della mamma Judy, per entrare spero felicemente in quella della moglie Kim. È comunque un tipo che non riesce a trattenersi dall’autodialogo, e quello che gli proponeva il gioco di Lorenzi non faceva che suscitarglene di sempre più irritati. Non meno irritato di lui, nel suo atteggiamento forse ispirato da Buster Keaton, mi pareva il suo coach attuale, il fu campione Ivan Lendl, che sembra ancora infastidito per non essere riuscito a vincere Wimbledon. Lorenzi, dunque, con la sua maglietta del fu campione italiano Maioli, altro studente ritardato dal tennis, con un cappellino a sghimbescio e la falangetta delle dita sanguinanti, riusciva a servire a 5-4 per il set, non lo chiudeva, lo perdeva, ma apparentemente impassibile riusciva, nel secondo, a condurre 5-2 contro un Murray più incredulo di me.
Assistevo spesso a scambi che andavano oltre i 20 tiri, addirittura ne ammiravo uno di 42, colpi che inchiodavano i giocatori alla riga di fondo. E mi accorgevo che avevo iniziato a prendere note dello score, come faccio soltanto per i match incerti. Murray insisteva in soliloqui sempre più irritati, riapparigliva a 5 pari, ma 8 punti a 3 mandavano Lorenzi a un set pari. Con Murray! Sul Centrale di Flushing Meadows! Sarebbe seguito un 3° set nel quale lo scozzese trovava sempre più la palla, mentre la regolarità di Lorenzi non bastava a contenere la lunghezza del giuoco avverso.
Alzavamo il bicchiere in onore di Lorenzi, insieme ai soci del club, e ci dicevamo che era stata una bella lezione. Ci dicevamo che si può imparare un mestiere non essendo estremamente dotati, a furia di intelligente testardaggine, termini che paiono escludersi ma che Paolo ha dimostrato complementari. L’inizio della giornata di domenica è allietato dalla vittoria della Vinci su un’avversaria, l’ucraina Tsurenko che, per involontaria sportività, aveva una gamba ancor più fasciata di quella di Roberta, e che l’ha anche superata nel numero di errori. Sarà, il prossimo, il 4° quarto di finale della Vinci a New York. Chapeau, dicono i francesi.
Risultati – Uomini, 3° turno: Murray (Gbr) b. Lorenzi 7-6(4), 5-7, 6-2, 6-3. Donne, ottavi di finale: Vinci b. Tsurenko (Ucr) 7-6 (5), 6-2