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 2016  settembre 05 Lunedì calendario

Erin Zahavi, la faccia dello sport israeliano. È capitano della nazionale e ambasciatore di Pace. Tutto grazie a un contratto con lo Guangzhou da 7 milioni euro

L’uomo da 7 milioni di euro una volta vendeva paste fuori da uno stadio e oggi è la faccia dello sport israeliano.
Eran Zahavi è diventato capitano della nazionale ed è stato nominato ambasciatore di pace dall’ex presidente Shimon Peres, giusto una settimana fa. Merito di un contratto firmato quest’estate con il Guangzhou, in Cina, dove di solito puntano giocatori cresciuti con il calcio che conta e stavolta hanno cercato lui, uno fuori dalla mappa.
Passaggio al Palermo
I numeri sono da record come lo stipendio, ma è soprattutto il soprannome che rende Zahavi speciale e lo trasforma in poster. Lo chiamano «Who else?», come la pubblicità del caffè e con lo stesso intento perché chi altri può fare miracoli in una nazionale senza troppe stelle? Chi può segnare nei derby decisivi, chi può spingere il Maccabi Tel Aviv fino al girone di Champions, chi può attirare i cinesi dalla poco frequentata classifica israeliana? Lui, Zahavi che ha una collezione di momenti straordinari e una partita in sospeso che non riesce ad archiviare. E che oggi, da ambasciatore, deve superare.
Per ora ci mette la buona volontà e guida Israele in un gruppo definito «impossibile contro Italia e Spagna», eppure «chiave perché dobbiamo fare come l’Albania, esportare talenti e crescere. Il solo modo per riuscirci è farci vedere».
Zahavi ha 29 anni e si gode la maturità calcistica. A Palermo ha esordito con un gol contro il Cagliari nel 2011, prima partita in Italia e in rete dopo un minuto, il soprannome funzionava alla perfezione, la testa no. Troppo lontano da casa, certo, oggi i soldi lo hanno aiutato con un trasferimento radicale addirittura in un altro continente, ma sono passati cinque anni e un numero di gol che lo ha cambiato.
Un derby da archiviare
Quando arriva in Serie A è l’eroe dell’Hapoel, il campione capace di firmare la sfida più tesa (contro il Beitar Gerusalemme) di un campionato deciso all’ultimo giorno. E deciso da lui. Parte da idolo, premiato per la fatica fatta per arrivare fino a lì. Ha iniziato con un prestito al Ramat Hasharon, nel 2008, e con il doppio lavoro. Allenamenti al mattino, ambulante al pomeriggio. Far quadrare i conti non è semplice ma far tornare i sogni gli riesce benissimo.
Invece di godersi il momento d’oro se ne va, si infortuna e per riprendersi torna a casa. O quasi. Quando rientra è il Maccabi Tel Aviv che lo strapaga e c’è Jordi Cruyff in panchina che vuole proprio lui.
Ovviamente il giorno chiave diventa il derby contro gli ex, ma Maccabi-Hapoel non finisce mai. La gara viene sospesa per l’invasione di un esagitato che si scaglia contro Zahavi e gli fa perdere la testa. L’ultrà scalcia e il giocatore risponde fino a che l’arbitro non lo espelle. Proteste, petizioni, Zahavi pretende che il club si rifiuti di tornare in campo per opporsi a quel rosso. Mediazioni, scuse, interviste: la squalifica rimane, però il sostegno la alleggerisce. 
Zahavi va avanti fino al record di gol dell’ultimo campionato, 35 gol e passaggio in Cina con riconoscimenti istituzionali. Il soprannome regge ancora, ma il gesto che accompagna i gol dovrà cambiare: i colpi di pistola non si addicono al ruolo di ambasciatore per la pace.