Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 05 Lunedì calendario

I potenti della Terra sono riuniti a Hangzhou, in Cina. Delta del Fiume Azzurro, nove milioni di abitanti, 15 università, tra le città più industrializzate di quel paese, rimessa a nuovo per l’occasione alla solita maniera di Pechino: un milione di volontari per le strade, per diminuire il tasso d’inquinamento è stata disposta la chiusura di cento fabbriche e imposto l’orario ridotto per un migliaio di altre aziende

I potenti della Terra sono riuniti a Hangzhou, in Cina. Delta del Fiume Azzurro, nove milioni di abitanti, 15 università, tra le città più industrializzate di quel paese, rimessa a nuovo per l’occasione alla solita maniera di Pechino: un milione di volontari per le strade, per diminuire il tasso d’inquinamento è stata disposta la chiusura di cento fabbriche e imposto l’orario ridotto per un migliaio di altre aziende. Poi: vacanza forzata di una settimana per gli studenti e i funzionari pubblici, divieto di farsi vedere ai venditori ambulanti di cibo, un milione di abitanti costretti a trasferirsi con la forza. Si racconta che Pechino abbia investito sull’abbellimento della città 21 miliardi di euro, cinque volte quello che hanno speso i brasiliani per la loro Olimpiade. Tutto questo perché, come durante i Giochi del 2008, i cinesi vogliono impressionare lo straniero, fargli sentire che non sono inferiori alle cosiddette grandi nazioni del mondo, che hanno diritto di sedere al tavolo dei negoziati più importanti e imporre le loro idee, eccetera eccetera.

Quali idee?
Soprattutto l’idea che la globalizzazione possa finire, abbattuta dai nemici che la avversano in tutto il mondo. Un nemico è la Brexit, un altro nemico è Donald Trump, che vuole mettere dazi del 45% sull’importazione delle loro merci (ed è di nuovo leggermente in vantaggio nei sondaggi), poi ci sono i movimenti antiglobalizzazione che prosperano in tutto il mondo, da ultimo persino questa vittoria dei tedeschi xenofobi di Alternative für Deutschland in Meclemburgo-Pomerania, dove hanno fatto meglio della Merkel. I nemici della globalizzazione prosperano nella crisi della stessa globalizzazione: la crescita del Pil mondiale non sarà del 3,1%, come si pensava qualche mese fa, ma del 2,9%, se va bene. Il commercio ha rallentato, le banche centrali «sono al limite delle loro possibilità» (parole del capo dell’Ocse, Angel Gurria), perché dopo i tassi sotto lo zero e i mutui negativi (esperimento danese) non si sa che cosa bisogna ancora fare per stimolare la ripresa.  

Ai cinesi che gliene importa?
La faccenda tiene i cinesi col fiato sospeso perché Pechino deve proprio alla globalizzazione, cioè alla possibilità di accedere liberamente ai mercati mondiali, la crescita monstre dell’ultimo decennio. Se il resto del mondo si chiude, anche un paese grande come quello e che può puntare su una domanda interna senza paragoni, va in crisi.  

Però i cinesi e gli americani hanno firmato l’accordo per limitare le emissioni di gas serra.
Sì, bene, ma sia Obama che Xi Jinping hanno firmato sereni perché manca ancora molto all’entrata in vigore del cosiddetto Cop21, un impegno globale a inquinare meno in modo da tenere l’aumento della temperatura terrestre sotto il 2%. Perché si cominci a fare sul serio ci vuole l’adesione di 55 paesi che siano responsabili del 55% delle emissioni di anidride carbonica. I paesi prima della firma di sabato erano 24, in genere isolette preoccupate dell’innalzamento del livello del mare e che emettono anidride carbonica per l’1,08%. Cina e Stati Uniti sono, nell’ordine, i peggiori inquinatori del mondo. Ma insieme fanno il 38% di emissioni (24+14), quindi il 55 è ancora lontano. I cinesi sono poi esentati dal mettersi in riga fino al 2030.  

In definitiva, questi 20 potenti di che cosa parlano?
Un po di tutto, e non uscirà da lì nessuna soluzione. Ieri, nel suo discorso, il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, ha insistito sul problema dei rifugiati. Secondo lui l’Europa è arrivata al limite e ha bisogno dell’aiuto del resto del mondo. Gli ha dato manforte il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk: «La comunità del G20 deve iniziare a condividere la responsabilità del fenomeno: ci sono 65 milioni di persone in fuga nel mondo e 4 milioni sono quelli che hanno dovuto lasciare la propria casa nella sola Siria». Renzi ha svalutato questo grido d’allarme: «Mi fa piacere la loro consapevolezza, ma la Ue ha uno sguardo miope, aspettiamo i fatti». Che l’Europa «sia al limite» sembra un’esagerazione. Juncker ha anche difeso la decisione europea di far pagare le tasse ad Apple, garantendo che non è una mossa contro gli Stati Uniti. A riprova, ha sostenuto che il trattato commerciale tra Europa e Stati Uniti non è affatto morto, come sembra invece scontato.  

Renzi ha parlato?
«Spesso per vedere i risultati delle riforme ci vogliono anni. Il futuro viaggia veloce e può impaurire. Dobbiamo avere più attenzione alla equità e alla uguaglianza: tutti vogliamo una crescita inclusiva, certo, ma abbiamo un nemico comune, la paura». È importante soprattutto che il nostro premier abbia incontrato Jack Ma, gigante con  la sua Alibaba dell’e-commerce cinese. Jack Ma lancerà il vino italiano in Cina il prossimo 9 settembre. Un altro bel segnale, dopo quello di sabato in cui il presidente cinese Xi Jinping ha detto a Renzi (faccia a faccia di venti minuti): «È necessaria una relazione di cooperazione strategica completa tra Repubblica popolare e Italia».