La Stampa, 4 settembre 2016
Storie di medaglie olimpiche perdute
L’oro che ha viaggiato per anni nel cruscotto di una macchina è diventato un legame, due argenti sono finiti all’asta, uno benedetto, l’altro corrotto, sedici medaglie olimpiche hanno cambiato padrone e tutto in una sola estate, pochi giorni che hanno definito come si calcola il valore di un podio ai Giochi. Non è il riconoscimento che conta, ma la storia di chi lo porta. E di chi lo sposta.
La vita delle medaglie comincia quando le Olimpiadi finiscono: dopo l’inno, i fiori, la festa in piazza. Questa è la parte uguale, quasi, per tutti, solo che quell’onore non si ferma lì. Va portato, protetto, raccontato, tramandato e ci sono infiniti modi per farlo: gli incroci di questi mesi hanno messo di fronte bari e furfanti, filantropi ed eroi quotidiani. Il viaggio di metalli preziosi destinati a cambiare esistenze, dietro agli strani capricci degli dei olimpici in vena di dimostrazioni.
Vinto 24 anni prima
Inizia tutto il 6 di giugno con una foto postata su twitter dalll’ex canoista Joe Jacobi. L’immagine sgranata arriva da una telecamera di sicurezza: un uomo rompe il finestrino di un’auto, ci si infila dentro e arraffa quel che può. Tra gli oggetti rubati c’è un astuccio che contiene una fortuna per intenditori: un oro vinto da Jacobi 24 anni prima. I commenti sono disperati e acidi, tutti comprendono l’oltraggio, pochi si rassegnano all’imprudenza: che cosa ci fa la prova di un successo tanto potente in un parcheggio incustodito? Jacobi lo spiega in una lunga lettera che diventa una mappa. Si portava dietro l’oro perché «il trionfo non appartiene ai singoli», perché la sua carriera è fatta di selfie, autografi, aneddoti: «Mi è capitato centinaia di volte di aver bisogno di mostrare quel trofeo, di condividerlo». L’oro «di tutti» diventa l’ossessione di ognuno, un bene comune da ritrovare insieme. Si apre un sito dedicato alla caccia, Jacobi offre una non definita ricompensa, ma la maggioranza non chiede, cerca, e tre mesi dopo il tesoro, ammaccato, ricompare. Ripescato dall’immondizia da una bambina di sei anni. Joe continuerà a trasportare la preziosa medaglia, la terrà comunque vicino, a portata di suggestione.
Barattato per 10.500 euro
Mentre Jacobi coinvolge, Yarelys Barrios conta: i giorni che mancano al giudizio, i soldi raccattati, sa di non meritarsi l’argento preso a Pechino 2008 e infatti se ne disfa. Lo piazza su Ebay e poi scopre che deve renderlo perché non è suo. Lo ho ha avuto con l’inganno, grazie al doping, e il Cio ci mette otto anni a scoprirlo e altra burocrazia per notificarlo, però, a fine agosto, la pratica è chiara: Barrios deve restituire il premio. Non c’è più, barattato per 10.500 euro. E non è il prezzo dell’argento, ma di un argento senza legittimo proprietario. Quello di Piotr Malachowski, guadagnato a Rio nel lancio del disco, è stato valutato 75 mila euro.
Malachowski l’ha messo all’asta per il figlio Olek, 3 anni, affetto da un retinoblastoma. L’operazione costa 112 mila euro, una parte la mette un’associazione polacca, l’altra i fratelli Kulczyks che l’anno scorso hanno ereditato una fortuna e ora si sono comprati una medaglia. Il discobolo li ha ringraziati così: «Avete trasformato l’argento in oro».
Prova di redenzione
David Boudia ha vinto un oro nei tuffi nel 2012 e se lo è trascinato a Rio nel 2016: lo ha nascosto nel Villaggio, lo ha custodito e ci ha abbinato un argento e un bronzo. Per lui la medaglia era un pegno e l’ha moltiplicata per tre. Anthony Erwin è tornato con una sola e ci ha messo 16 anni a ritrovarla. Non è lo stesso oro del 2000, anche se arriva sempre dai 50 stile libero, ma è la ricompensa per l’inseguimento. La prima medaglia l’ha persa negli anni passati a drogarsi poi ha ripreso il controllo e il nuoto ed è andato alla conquista del suo trofeo. Alla riabilitazione serviva l’ultimo gettone, la prova della redenzione. Centrata a 35 anni, è diventato il più vecchio vincitore in piscina ai Giochi. Una medaglia olimpica non ha prezzo e neanche età. È sempre fresca anche appena uscita dalla spazzatura, come quella di Jacobi. È sempre viva anche se lontana come quella di Malachowski. È sempre di chi la merita e mai di chi la intasca con la truffa, come si è capito in questa estate piena di doping, coincidenze e romanticismo.