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 2016  settembre 04 Domenica calendario

In morte di Nené, eroe del Cagliari del ’70

Francesco Velluzzi per La Gazzetta dello Sport
Danzava sulla fascia. Stupiva per la falcata, la progressione impressionante, abbinata a un gran tiro. Con Angelo Domenghini sulla catena di destra formava una coppia incredibile che sfornava palloni d’oro per la testa di Rombo di Tuono, Gigi Riva. E lo stadio Amsicora esplose a tal punto da celebrare l’unico scudetto della storia del Cagliari nell’aprile del 1970. Questo brasiliano alto, longilineo e generoso, in campo con la maglia numero 8, era Claudio Olinto de Carvalho Nenè che ieri mattina alle 5 se n’è andato, stroncato da una crisi respiratoria. Ne aveva superate e vinte tante, questa l’ha persa, a 74 anni, a Capoterra nella Residenza Sanitaria Assistita che lo ospitava dal 2009. Era tracheotomizzato, in sedia a rotelle, Claudio. Veniva alimentato da un sondino gastrico. Andammo a trovarlo due estati fa, ci strinse forte la mano. Comunicava così e si emozionava quando capiva la sincerità e scorgeva il bene della gente, la sua gente, quella di Cagliari dove ha vissuto un lato A della vita, da campione consacrato, e un lato B di sofferenza e degrado. Il cuore degli ex compagni, capeggiati dall’impareggiabile Beppe Tomasini e dall’aiuto discreto di Gigi Riva, oltre al sostegno dell’infaticabile Sandro, di Oliviero e Nando, ha fatto sì che la sua vita difficile si allungasse fino a ieri.
CAMPIONE Ma prima del male c’è stato il bene. Quello fatto su un campo di calcio. A Cagliari, portato da Andrea Arrica e dal tecnico Arturo Silvestri, Nenè trovò la sua dimensione e la consacrazione. A Torino, alla Juve, dove arrivò nell’estate del 1963 dal Santos di Pelè, in un’unica stagione, da punta, pur segnando 11 gol, non legò con la stella Sivori. Anche se poi alla Juve ci tornò da allenatore delle giovanili, e proprio ieri Claudio Marchisio lo ha voluto ricordare. «Ho avuto la fortuna di averti come allenatore, mi hai insegnato a calciare con tutti e due i piedi». Nenè era maestro da giocatore, di calcio e fair play. Il «quinto moro» sardo stupiva per quanto correva. Il «coast to coast» all’Olimpico nel 1967 contro la Roma, in cui cercano addirittura di falciarlo senza esito, con conseguente assist per Riva, resta negli archivi come una prodezza da mostrare su youtube a chi non ha potuto ammirarlo sul prato dell’Amsicora e del Sant’Elia dove lasciò il calcio nella primavera del 1976 con la retrocessione in serie B. L’unica per lui che le 311 partite in rossoblù le ha giocate tutte in A. Manlio Scopigno, il filosofo, lo spostò da ala destra a mezzala. Fu una delle sue trovate geniali e regalò il tricolore al Cagliari. Nenè giocò poi anche da mediano. Si adattava ed eccelleva. Perché in campo quel ragazzo estroso, ma educato, che chiamava tutti «signor», dava sempre tutto.
SOFFERENZA Terminata la carriera da calciatore, è cominciata quella da allenatore. Ha visto crescere tanti ragazzi e con la Fiorentina ha vinto un campionato Primavera e un Viareggio. Poi finì alla Juve, tornando ad allenare nel club che dopo quella prima annata non eccellente da calciatore, aveva fatto di tutto per ricomprarlo prendendo un due di picche. Guidò la Juve, il Cagliari, poi tentò il salto, senza fortuna, con le prime squadre. Ma già erano cominciati i problemi, con la moglie Fiorella prima, con l’alcool poi. L’alcool è stato il suo nemico. I compagni e gli amici i suoi salvatori, gli angeli custodi. Che lo hanno condotto nella Rsa di Capoterra dove Claudio veniva assistito amorevolmente da tanti.
SALUTO Non lo hanno abbandonato fino alla fine. E Nando Secchi, oggi assessore comunale alle Politiche Sociali, ha chiesto e ottenuto dal sindaco Massimo Zedda di allestire oggi la camera ardente al Comune di Cagliari in via Roma dalle 9 alle 20 (i figli Giada e Ruben sono arrivati ieri). Ieri il club di Tommaso Giulini, che ha ridato dignità ai grandi rossoblù, allo stadio e nelle iniziative della società, l’ha ricordato nell’amichevole di Castelsardo e sul sito. Lunedì gli porterà l’ultimo saluto alle 16 nella basilica di Bonaria. Dove ci sarà quasi certamente anche Gigi Riva, l’amico di sempre, che gli è stato vicino continuamente ripagando quei tanti assist che Claudio gli faceva sul prato verde della felicità rossoblù.

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Guglielmo Buccheri per la Stampa
Accanto a Pelè nel Santos, con Sivori alla Juve e una vita a Cagliari. Il calcio mondiale saluta Claudio Olinto De Carvalho, per tutti Nenè, scomparso l’altra notte per un problema respiratorio dopo una lunga, e dolorosa, malattia all’età di 74 anni.
Nenè ha legato la sua storia (non solo in campo) alla maglia rossoblù: con il Cagliari di Gigi Riva ed Albertosi arrivò sul tetto del campionato vincendo, da protagonista, lo storico scudetto del ’70. Era una mezzala dalle movenze così eleganti, e devastanti, che colpirono Giampiero Boniperti dopo un’amichevole del Santos a Torino nel giugno del ’63: Boniperti partì per il sudamerica e, vinte le resistenze della famiglia, molto legata all’allora ventunenne Nenè, riuscì a portarlo in Italia per 100 milioni. Alla Juve il brasiliano visse una convivenza non facile con la stella di Sivori e, dopo sola una stagione, si accasò sull’isola. In Sardegna, la svolta: si trasformò in uomo assist per Riva, e non solo. In mezzo al campo volava, come il suo Cagliari: dal ’64 al ’76 ha collezionato 311 gare, segnando 23 reti, numeri che gli hanno consegnato l’oscar di straniero con maggiori presenze nel club. Nella sua carriera c’è spazio anche per la panchina, soprattutto quella delle giovanili: ha vinto uno scudetto Primavera con la Fiorentina, ha allenato alla Juve. «Mi ha insegnato ad usare entrambi i piedi...», dice Marchisio. Gli ultimi anni li ha vissuti in difficoltà economiche: lascia due figli che vivono a Torino.

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Gabriele De Bari per Il Messaggero

Dalla favela al calcio, dalla miseria alla celebrità, dagli inizi con Pelè ai trionfi con Riva, senza mai perdere i valori umani che l’hanno contraddistinto in campo e fuori. Claudio Olindo de Carvalho, conosciuto da tutti come Nenè, è morto all’età di 74 anni, dopo una lunga malattia che ne ha minato gli ultimi anni della vita. Ci ha lasciati un campione buono, un personaggio da libro cuore, che ha aveva investito tutto sul pallone e che dal pallone ha avuto tutto. Anche le amicizie che ne hanno accarezzato e reso meno triste la vecchiaia da malandato.
Gigi Riva è stato l’amico di sempre, da quello storico scudetto vinto con il Cagliari di Scopigno del quale il centrocampista brasiliano è stato uno degli eroi. Riva, Tomasini, Greatti, Albertosi e gli altri campioni del Cagliari l’hanno aiutato sempre nei momenti delle difficoltà in quanto Nenè, dopo stagioni di successi e ricchezza, ha conosciuto anche periodi di magra. Gigi Riva, in particolare, gli è stato vicino in ogni frangente. «Oltre a un amico carissimo, ho perso una parte di me», ha commentato Rombo di Tuono. Nenè non aveva nemici, perché amava gli altri e rispettava gli avversari. Un calciatore di assoluto valore, forse avrebbe potuto dare di più, è stato lo straniero più fedele di sempre in rossoblù. «Di questo record sono orgoglioso e fiero», ci confidava con lo sguardo tenero e intriso di malinconia. La malattia aveva già cominciato il percorso maligno ma Nenè l’ha affrontata con dignità e forza. Non ha mollato, neppure nei lunghi mesi trascorsi in una clinica di Capoterra, vicino al capoluogo.

Era arrivato in Italia voluto da Gianpiero Boniperti ma alla Juventus restò soltanto un’annata che fu comunque positiva. Problemi di coesistenza con l’argentino Sivori, allora il mito dei bianconeri, lo costrinsero a cambiare squadra. Ma il trasferimento al Cagliari fu la sua fortuna. S’inserì presto negli schemi del filosofo Scopigno e divenne uno dei beniamini della Sardegna. Un amore a filo doppio, tanto che Nenè decise di piantarvi le radici e di restarvi per sempre. Comprò un appartamento in centro che divenne la sua dimora. «Questa terra mi ha subito adottato e io le sarò sempre riconoscente». Parole che tornano alla memoria e che rispecchiano l’animo di un campione che ha lasciato un segno profondo nel nostro calcio e che adesso lascerà un vuoto immenso. La camera ardente è stata allestita presso il Municipio di Cagliari, la città che gli ha voluto bene e che, compatta, vuole regalargli l’ultimo saluto.

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Tony Damascelli per il Giornale
Quattro lettere, con l’accento finale sulla e. Brasiliano, giocava nel Santos. Pelé? No, Nené, suo compagno di squadra con il numero 11 della casacca bianca, poi emigrato a Torino, nella Juventus, dopo aver affascinato in una amichevole di una notte d’estate, Giampiero Boniperti, dirigente bianconero che lo aveva visto dribblare i suoi. 
Nené è morto a settantaquattro anni, è morto in Italia che per lui era la terra dei sogni e dei figli, due, nati a Quartu Sant’Elena, sull’isola che gli aveva regalato il titolo di campione d’Italia con il Cagliari di Giggiriva. Nené aveva gambe lunghe e cuore di bambino. Avrebbe dovuto seguire la carriera di suo padre Herminio, prima calciatore poi elettricista. Non avvitò lampadine ma continuò a segnare gol, non tanti ma molti decisivi.
Quando arrivò a Torino si ritrovò con l’eredità di John Charles e la vita non fu dunque facile. Long John aveva lasciato il segno dovunque e poi Nené, dolce d’animo, scoprì di dovere fare i conti con un compagno di squadra più figlio di buona donna di qualunque altro al mondo: Enrique Omar Sivori. Ora tra argentini e brasiliani c’è lo stesso rapporto che potrebbe sussistere tra Luciano Moggi e Marco Travaglio. Sivori guardava quel mulatto, così si scriveva al tempo, con leve sproporzionate e un ruolo non meglio definito, scherzava con i due Agnelli, Gianni e Umberto e alla fine riuscì a farlo sbolognare al Cagliari, dopo un solo anno di domicilio sabaudo. Nella Juventus, oltre al cabezon Sivori, Nené dovette subire il cambio di allenatore, dal connazionale Amaral a Eraldo Monzeglio, vecchia guardia tattica e tecnica del calcio italiano. A Cagliari trovò Sandokan Silvestri e poi Manlio Scopigno che gli dissero semplicemente di giocare a pallone, c’era Gigi Riva che provvedeva alla bisogna. Così arrivò lo scudetto, storico per l’isola e storico per lui che era stato pagato in comode rate, venticinque per cento annuali. 
Trecento undici partite (non presenze come si dice e si scrive oggi) e 23 gol con i sardi, dopo i 23 incontri disputati con la maglietta bianconera e 11 gol, tentò la strada yankee con i Chicago Mustangs. Provò anche ad allenare, le giovanili della Juventus, del Cagliari, della Fiorentina, aveva amici cento e mille, il suo carattere mite lo portò a essere amato davvero da tutti e, così, dimenticato dalla folla di tifosi smemorati che conoscono soltanto il calcio delle tivvù satellitari. Lascia due figli e la memoria calda di un football che ormai non esiste più, nemmeno in Brasile.