La Stampa, 4 settembre 2016
La sorrentinologia spiegata ai profani
Nel giorno di The Young Pope, come da previsioni, sono scese in campo le diverse correnti della Sorrentinologia. Il Pontefice americano è solo l’ultima allegoria che il regista ha gettato nell’agone delle mille interpretazioni possibili, mai «autorizzate» in via ufficiale. Metafore, allusioni e simboli che rendono indispensabile il lavoro (e il lavorìo) di una disciplina alimentata dai critici, da intellettuali e opinion-maker, dai sorrentinologi loro malgrado e dai sorrentinologi anti-sorrentiniani.
La necessità di una sorrentinologia deriva innanzitutto dal suo stile ellittico (a volte, fin sornione): si tratta, dunque, di un’ermeneutica e non di una scienza esatta, chiamata a decodificare e squarciare il velo di Maya delle atmosfere oniriche e crepuscolari. C’è la corrente del realismo magico (molto in voga quando la location-soggetto delle pellicole era Napoli), la fazione dell’esegesi in chiave politica (Il divo e La grande bellezza), quella delle «operette morali» (L’amico di famiglia, La partita lenta, e ancora La grande bellezza), la scuola dell’individualismo intimista (L’uomo in più, Le conseguenze dell’amore), quella calcistica (il calcio supermetafora di ogni cosa). E c’è, da This Must Be the Place a Youth, l’ala musicologica: e su questa, e la centralità della musica per la sua narrazione, c’è il timbro di certificazione di Sorrentino medesimo.