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 2016  settembre 04 Domenica calendario

Ricordate la storia della pecora Dolly? Qui è raccontata bene

Il 6 luglio 1996 dopo 148 giorni di gestazione e con il contributo di tre madri veniva alla luce quello che rimane l’animale più famoso del mondo: la pecora Dolly, il primo mammifero nato per clonazione. Il mondo l’ha saputo solo otto mesi dopo: il 22 febbraio 1997 Ian Wilmut («padre» umano di Dolly) annunciò sulla rivista  Nature il lieto evento verificatosi al Roslin Institute di Edimburgo (Scozia). Il mondo ne fu scosso, i giornali si lanciarono in spericolate ipotesi di clonazione applicata alla nostra specie (legioni di Hitler o repliche di Marilyn?), i bioeticisti ebbero per mesi un tema ghiotto da sviscerare, si scatenarono i folli. Il capo della setta religiosa dei raeliani (discendenti, manco a dirlo, di extraterrestri arrivati sul nostro pianeta senza permesso di soggiorno) comunicò che cloni erano arrivo tra i suoi seguaci. Arthur Caplan, consigliere di amministrazione della Celera di Craig Venter che stava mappando il genoma umano, ricevette la telefonata di un tale che proponeva la clonazione di Gesù Cristo, ovviamente traendone il genoma dalla Sindone. Caplan osservò perplesso che la resurrezione era già avvenuta.
La prima love story
Dolly era molto fotogenica. Non si può dire che sorridesse, ma ci guardava con un muso simpatico dagli schermi televisivi e dalle copertine dei giornali. Appena partorita dalla madre surrogata pesava 6,6 chilogrammi, era sana e si sviluppò regolarmente. Lei, celeberrima, socializzava senza sussiego con pecore normali di umilissime origini. Socializzò intimamente anche con alcuni montoni ed ebbe sei discendenti generati con il piacevole sistema tradizionale. Nel suo caso invece era stata una faccenda per niente divertente e molto complicata.
La clonazione comporta l’estrazione di un ovulo maturo; da esso occorre togliere il nucleo (cioè il patrimonio genetico femminile) ponendo estrema attenzione a non fare danni; da un animale adulto si ricava poi una cellula e da essa si asporta l’intero nucleo, cioè il patrimonio genetico, che verrà inserito nell’ovulo; a questo punto con una scossa elettrica si avvia il processo di gestazione e l’ovulo così attivato viene inserito nell’utero della madre surrogata. L’animale che viene clonato è quello da cui si è preso il nucleo della cellula somatica. 
Nel nostro caso si trattava della cellula mammaria di una pecora di sei anni. Fu la mammella a ispirare ad un allevatore del Roslin Institute il nome Dolly: era un fan della cantante country Dolly Parton, classe 1946, dotata di un seno invidiabile anche da cinquantenne. Con ogni evidenza il politicamente corretto non rientrava nello stile del Roslin Institute. Ma nessun pubblicitario, neanche Armando Testa, avrebbe potuto escogitare un nome mediaticamente migliore.
Cellule «totipotenti»
Dolly aveva vinto la lotteria della vita. I ricercatori scozzesi avevano denucleato 277 ovuli. Attivati dalle scariche elettriche alla Frankenstein furono mantenuti per sei giorni in provetta, poi 145 furono impiantati in uteri surrogati, il più delle volte senza esito. In 19 casi si arrivò a un aborto spontaneo. Solo Dolly tagliò il traguardo di questa maratona riproduttiva. Gli scienziati dell’Università di Edimburgo avevano così dimostrato che anche nei mammiferi ogni cellula somatica è totipotente. Si aprivano nuove strade all’allevamento di animali, alla sperimentazione sulle cellule staminali, alla medicina rigenerativa e alle più azzardate fantasie. Ne uscirono saggi scientifici, romanzi, trattati di bioetica. Ma in ritardo di anni su Sleeper di Woody Allen e su Jurassic Park.
Invecchiamento precoce
La vita di Dolly non fu felice. All’età di cinque anni si ammalò di artrite (forse a causarla fu una caduta in cui incorse mentre saltava un ostacolo) e incominciò a dare segni di invecchiamento precoce. Eppure i suoi telomeri, quei «tagliandi» che le cellule staccano ad ogni duplicazione, risultavano regolari e gli agnelli che partorì non manifestarono nessuna patologia. In ogni caso il 14 febbraio del 2003, all’età di sei anni e 7 mesi, Dolly fu soppressa. Ora possiamo vederla imbalsamata in una bacheca di plexiglass al Royal Museum di Edimburgo.
Nella letteratura scientifica la clonazione non era una novità. Sono cloni le talee e gli innesti delle piante. Molti microorganismi e alcuni invertebrati (per esempio gli anellidi) si riproducono per clonazione. Sono cloni i gemelli omozigoti. Il biologo tedesco Hans Spemann nel 1902 aveva clonato una salamandra: aspettò che un ovulo fecondato si dividesse in due cellule e poi le separò con un cappio ricavato da un capello biondo di sua figlia Margrette ottenendo due salamandre – e non due mezze salamandre come sosteneva il suo rivale August Weismann. Nel 1935 a Spemann andrà il Nobel per la medicina. John Gurdon nel 1962 clonò una rana. Mezzo secolo dopo anche lui ebbe il Nobel per i suoi studi sulle cellule staminali. Negli Anni 80 ci furono esperimenti su topi e vitelli. Infine arrivò Dolly, che il Nobel l’aspetta ancora. Dopo di lei abbiamo avuto cloni di gatti, cani, bufali, cavalli, maiali e ratti; lo stambecco dei Pirenei è stato salvato dall’estinzione.
Su tentativi di clonazione umana girano voci incontrollate. Nel 2004 il sudcoreano Hawang Woo-suk ne descrisse un caso su Science ma l’articolo è stato ritrattato. Il ginecologo Severino Antinori – già agli arresti domiciliari per lesioni aggravate e rapina di ovuli – ha più volte dichiarato di usare la clonazione come metodo di fecondazione artificiale, cosa che – dato il personaggio – non stupisce. Il Nobel Joshua Lederberg nel lontano 1966 si diceva favorevole alla clonazione umana. James Watson, il Nobel della doppia elica del DNA, nel 1971 si espresse in termini negativi. La realtà è che non esistono norme internazionali che proibiscano questi esperimenti: nel 2005 l’Onu emanò delle semplici «raccomandazioni», l’Unione Europea con il Trattato di Lisbona è per il no, ma pochi paesi lo hanno ratificato. Il Regno Unito, come per la sterlina, fa storia a sé. La Brexit viene da lontano.