La Stampa, 3 settembre 2016
Le notti insonni della Raggi e il nuovo sicario del complotto
Forse è un complotto ma intanto assomiglia a un assedio.
Armi di distruzione di massa, nei sentimenti grillini, e cioè telecamere e penne. L’aggiramento funziona: Virginia Raggi infila l’ingresso del retro come i calciatori contestati guadagnano il tunnel degli spogliatoi: testa incassata nelle spalle. Il tailleur color panna è un fugace passaggio di spettro. È mattina presto e ci sarà da far tardi, perché ognuno ha il modo di aggiustare la faccenda. Il metodo di Raggi è chiudersi in stanza col presidente della Commissione trasporti, Enrico Stefàno, e scartabellare curricula fra cui trovare quello giusto per la guida dell’Atac, che dei trasporti è la municipalizzata. «Dobbiamo trovare le personalità migliori», dice Raggi e il resto del mondo era persuaso che le personalità migliori fossero già state trovate al giro precedente. «Queste dimissioni non ci spaventano», dice Raggi e parla di quelle del capo di gabinetto e, a catena, dell’assessore al Bilancio, del presidente della nettezza urbana e – per coincidenza – dell’Atac. Il male si muove nel buio: «Diamo fastidio ai poteri forti ma siamo uniti e determinati. Stiamo valutando personalità di alta caratura in modo che possano far parte della squadra». Quali poteri forti non si sa. Le dimissioni sono interne alla giunta, a meno che non si vogliano considerare poteri forti i consiglieri grillini che chiedono al sindaco nessuna eccezione al tetto di 76 mila euro di stipendio. E poi bisognerebbe chiedersi quali poteri forti abbiano stabilito 120 mila euro annui a Salvatore Romeo, capo della segreteria politica, il quale prima ne guadagnava un terzo. Un errore nella delibera, avevamo fretta, dice Romeo e quindi, almeno qui, nessun complotto. La delegazione dei consiglieri esce dall’ufficio di Raggi e – assedio levato, ma complotto in corso? – salta fuori che l’eccezione è la regola: 88 mila euro all’assistente dell’assessore Meleo, 88 mila all’assistente dell’assessore Marzano, 88 mila a due collaboratori del vicesindaco, un collaboratore del sindaco 111 mila, un altro 103 mila. La trama del complotto s’infittisce.
Dopo il tailleur panna, per gli amanti del dettaglio ecco il menu del pranzo: risolatte arrivato dal bar e consumato alla scrivania. Il fronte non si lascia soprattutto perché si sovrappongono voci di telefonate fra Raggi e Grillo, smentite di telefonate fra Raggi e Grillo, annunci di lettere del direttorio che riconosce massima autonomia al sindaco (che dovrebbe averla per legge, non per concessione gerarchica), ipotesi di discesa a Roma del medesimo Grillo e invece no, non viene più. A proposito di Grillo: sul testo sacro della trasparenza, il blog, nulla si dice del festival romano: interessano di più le grane economiche del governo.
Il bello deve ancora venire. Alle 16,30 comincia la riunione di giunta. Raggi arriva col sorriso dei giorni trionfali. Minimalista. Propone l’approvazione di un paio di delibere trascurabili. Come al solito fa la splendida. L’assessore all’Urbanistica, Paolo Berdini, però ha qualcosa da dire: «Da qui non usciamo finché non abbiamo fatto un po’ di chiarezza». Lasciano la stanza tutti tranne sindaco, vicesindaco e i sette assessori. Non si minimizza, dice allora Berdini. Abbiamo commesso errori di percorso, dice, e il danno d’immagine è irreparabile, così andiamo a sbattere. Tagliar le teste si può ma bisogna essere capaci, dice, «anche se magari la prossima sarà la mia». Gli dà manforte l’assessore Luca Bergamo: «Berdini ha ragione, servono scelte più condivise». Raggi è terrea dopo notti insonni. Chiude gli occhi e si tiene la mano sulla fronte. Dice che hanno fatto fuori una cordata di potere e le dimissioni di massa dimostrano l’intesa cospiratoria. Se ne vanta. Nessun cenno al particolare che la cordata è stata nominata da lei. Sarà una cordata di potere, le fanno notare, ma è il potere che tiene in piedi l’Italia. Carla Raineri, ormai ex capo di gabinetto, è giudice di corte d’appello a Milano. Sì ma non capiva niente, sbagliava le delibere, replica Raggi e lì interviene il vicesindaco Daniele Frongia: dice che l’ex assessore al Bilancio, Marcello Minenna, faceva tutto da sé, non consultava nessuno, un comportamento intollerabile (Minenna intanto fa sapere che non consultava nessuno perché non c’era nessuno che ci capisse qualcosa).
Tutto questo dura un paio d’ore. Si riesce a nominare il nuovo presidente dell’azienda trasporti, un venezuelano di 63 anni, Manuel Fantasia, ingegnere nucleare e già manager in Almaviva, Tele Sistemi Ferroviari e Italsiel-Finsiel. Niente più che un’aspirina per un febbrone. A giunta sciolta, qualcuno segnala che Raineri è fuori di sé. «Si vendicherà, farà di tutto per distruggerci». Il complotto si arricchisce del sicario. E resta da capire se fra i complottardi sia catalogabile la procura di Roma che si sta occupando dell’assessore all’Ambiente, Paola Muraro. Per la risposta basta attendere lunedì.
(Ha collaborato Federico Capurso)