la Repubblica, 2 settembre 2016
Assange sta dalla parte di Putin
L’evoluzione di Julian Assange? Prima, “gola profonda” nella migliore tradizione del giornalismo di denuncia (vedi Tutti gli uomini del presidente, Washington Post
contro Richard Nixon). Oggi, divulgatore di segreti a senso unico, anti- occidentali, manipolato da Vladimir Putin? Col ritorno di un clima da guerra fredda, Wiki-Leaks rischia di essere stritolato nella logica dei blocchi. Non gli giova il fatto che tutte le ultime rivelazioni abbiano avuto come scopo conclamato quello di silurare la candidatura di Hillary Clinton. Mai si era vista una campagna elettorale americana segnata da tante interferenze di una potenza straniera: il vecchio nemico, l’orso russo che parteggia per Donald Trump. E da che parte stia Assange, è chiarissimo. Questo spiega probabilmente la decisione del
New York Times di pubblicare una durissima inchiesta su Assange, rivoltandogli contro l’arma del giornalismo investigativo. È una requisitoria documentata, dove lo stesso imputato ha la parola: Assange ha concesso un’intervista ai tre reporter del
New York Times che firmano l’inchiesta, risponde alle loro accuse (l’integrale si può vedere su Facebook Live).
Assange ne esce come una marionetta manipolata dall’intelligence di Vladimir Putin, disposto a riciclare qualsiasi notizia che gli viene data, senza interrogarsi sui moventi della fonte. Gli basta che le notizie siano “contro” il suo bersaglio numero uno: gli Stati Uniti. Riservare lo stesso trattamento ad altre potenze non lo interessa, ammette lui, perché «tutti criticano la Russia, è noioso». E Glenn Greenwald, il giornalista americano che divulgò i documenti della “talpa” del Datagate Edward Snowden, twitta: «Ironicamente l’organo di stampa più accusato negli anni di aver pubblicato informazioni segrete che aiutano la Russia è il New York Times».
L’ampio dossier del New York Times ricorda l’irruzione di WikiLeaks nella scena mediatica fin dal 2010 con la divulgazione urbi et orbi di tante comunicazioni top secret fra le ambasciate Usa e il Dipartimento di Stato. Ne emergeva una descrizione “cinica” della diplomazia americana, con sullo sfondo le guerre in Afghanistan e in Iraq.
Di recente Assange ha fatto sapere che «ha ancora molto da dire» sul volto oscuro dell’imperialismo americano, il suo disprezzo per i diritti umani. Ma non usa lo stesso rigore nel mettere a nudo altri imperialismi. Certo non quello russo. Anzi, i metodi usati da Putin (fino all’assassinio degli oppositori) godono di una sorta di immunità, non rientrano nei bersagli di WikiLeaks.
Di più: col passare del tempo le rivelazioni di WikiLeaks sembrano avere come fonte proprio lo spionaggio russo. È il caso del materiale sottratto di recente nei siti del partito democratico Usa in piena campagna elettorale. Una campagna in cui Trump ha più volte appoggiato Putin, facendogli anche delle aperture di credito sull’annessione della Crimea e l’invasione dell’Ucraina. La conclusione del New York Times: «Sia che questo accada per convinzione, per convenienza, o per coincidenza, le rivelazioni di documenti da parte di WikiLeaks e molte dichiarazioni di Assange hanno spesso aiutato la Russia a scapito dell’Occidente». Per Assange “non esistono prove concrete” che WikiLeaks riceva le informazioni da servizi segreti stranieri. Ma anche se fossero loro la fonte, dice, accetterebbe ben volentieri quel materiale. Rientra nello stesso clima da guerra fredda il tema di un’altra inchiesta del quotidiano: sull’uso sistematico di false notizie come arma politico-psicologica, che Putin usa per seminare zizzania tra gli occidentali. Un esempio recente: le voci diffuse in Svezia sulle conseguenze di un ingresso di quel paese nella Nato. Tra cui la possibilità che la Nato lanci un’aggressione nucleare contro Mosca senza neppure consultare il governo di Stoccolma. Un falso, abilmente confezionato, che ha allarmato non pochi svedesi.