Il Sole 24 Ore, 2 settembre 2016
A Wall Street si respira una calma incomprensibile
Con quella di ieri sono 39 le sedute consecutive di mercato durante le quali l’indice S&P 500 di New York ha registrato una variazione, al rialzo o al ribasso, inferiore all’1 per cento. Certo, la calma pressoché piatta che si protrae ormai dallo scorso 9 luglio non viene percepita fino in fondo in un’Europa agitata invece dagli alti e bassi delle banche, se però si guarda all’azionario Usa di situazioni simili se ne sono sperimentate ben poche. Sono appena due negli ultimi 20 anni: nell’estate del 2014 e nel corso del 2007, prima che la crisi dei mutui subprime scuotesse a lungo i listini.
Risalire all’origine di questa calma, confermata in prospettiva anche da un indice Vix che nonostante l’avanzata di ieri resta su livelli storicamente ridotti, non è difficile se si considera l’enorme massa di liquidità con la quale le Banche centrali hanno inondato negli ultimi tempi i listini.Stupisce, semmai, come a Wall Street si riesca a mantenere i nervi così saldi in una fase di elevata incertezza (per non dire confusione) attorno alle decisioni future della Federal Reserve.
Anche qui però c’è chi, come Jim Reid di Deutsche Bank, fa notare come le mosse espansive della Banca centrale europea, di quella del Giappone e di quella d’Inghilterra sarebbero largamente in grado di neutralizzare dal punto di vista della liquidità l’impatto di un rialzo ai tassi Usa ora o più probabilmente a dicembre. In altre parole, gli operatori avrebbero già inglobato nei prezzi una simile «stretta», che poi così scontata non è.Proprio oggi la soglia della tranquillità che l’S&P non oltrepassa da quasi due mesi affronterà un test particolarmente significativo con la pubblicazione dei dati sul mercato del lavoro statunitense in agosto. L’indicatore che per tradizione viene diffuso ogni primo venerdì del mese potrebbe essere l’ultimo tassello rilevante da qui al 21 settembre per le scelte di una Fed che per sua stessa ammissione resta data-dependent, cioè legata al tenore delle notizie economiche in arrivo.
Che la più importante banca centrale del mondo si riduca a prendere decisioni sulla base di un solo dato può in effetti apparire un controsenso, ma la cronica divisione mostrata negli ultimi tempi dai singoli banchieri che compongono il suo board finisce per accrescere inevitabilmente l’importanza dei non farm payrolls, quantomeno nell’orientare le attese dei mercati. Una riprova di quanto gli investitori siano in effetti anche un po’ nervosi la si è avuta ieri, quando il deludente dato sulla fiducia nel settore manifatturiero in agosto (unito a quello non certo brillante sulle spese per costruzioni rimaste al palo in luglio) ha costretto a ricalibrare le aspettative sul futuro dei tassi Usa. Da qui il ridimensionamento in pochi minuti del dollaro e dei rendimenti dei titoli di Stato, addirittura simile nella misura (non nella direzione) alla reazione che ha seguito il discorso di Janet Yellen a Jackson Hole una settimana fa.
Il fatto che in serata l’ampiezza dei movimenti si sia di nuovo in parte ridimensionata (soprattutto in Borsa) ci riporta al punto di partenza e a quella calma artificiale dettata dalle Banche centrali. Statisticamente un periodo così prolungato senza oscillazioni superiori all’1% si è quasi sempre concluso con un forte ribasso dell’S&P 500, che si è però mediamente ripreso nelle settimane successive. Forse anche per questo gli investitori non sembrano lasciarsi condizionare più di tanto.