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 2016  settembre 02 Venerdì calendario

Alla fine ci pensa il re. Il caso della Spagna

C’è un particolare che finora pochi hanno messo in rilievo: i due Paesi europei che nel dopoguerra hanno avuto le più lunghe crisi di governo il Belgio qualche anno fa per 456 giorni e la Spagna, ora, per quasi nove mesi, sono entrambi monarchie costituzionali, sia pure con storie e ordinamenti diversi. Sono cioè Paesi in cui, durante questi lunghi vuoti, il re diventa il principale punto di riferimento, l’uomo che presiede alle consultazioni e affida poi l’incarico di tentare la formazione di un nuovo esecutivo. 
A Madrid il giovane Felipe svolge questo ruolo guida nello stesso tempo con estremo scrupolo e con assoluta imparzialità: nel febbraio scorso, dopo il fallimento del primo tentativo del popolare Rajoy, vincitore delle elezioni di dicembre ma senza maggioranza assoluta, aveva affidato il compito al leader socialista Pedro Sanchez, che intendeva formare il governo con l’estrema sinistra di Podemos, uno dei cui obbiettivi è proprio di abbattere la monarchia. Sanchez non è riuscito a mettere insieme i voti necessari, per cui l’istituto monarchico non è stato messo in discussione, con sollievo di una buona maggioranza di spagnoli che più la crisi si prolunga più si rendono conto della sua importanza. Dopo il nuovo fallimento di Rajoy (che peraltro oggi disporrà di una seconda votazione, in cui gli basterà raggiungere la maggioranza semplice dei voti delle Cortes), re Felipe sarà quasi certamente costretto a indire la terza elezione in un anno, il giorno di Natale. 
Naturalmente, non è che durante questi lunghi vuoti egli subentri in qualche modo all’esecutivo, perché la Costituzione è quella che è e non ammette deroghe; ma, di certo, ogni giorno che passa aumenta la sua influenza e la sua possibilità di indirizzo. Per molti spagnoli, è anche grazie alla sua presenza «immutabile» e rassicurante che la Spagna, pur priva di un governo nei suoi pieni poteri, ha registrato quest’anno un aumento del PIL di gran lunga superiore agli altri Paesi europei. 
Un aspetto da non trascurare è che la monarchia costituzionale spagnola è sotto tutti i punti di vista una eredità del tanto vituperato franchismo. È stato il Caudillo in persona a decidere che dopo la sua scomparsa – il Paese doveva tornare alle origini, sia pure adeguandosi all’evoluzione dei tempi; ed è sempre stato lui a scegliere come suo successore, e poi letteralmente ad allevare politicamente, il giovane Juan Carlos di Borbone, il quale ha occupato il trono per trentanove anni (contribuendo tra l’altro in modo decisivo a sventare il golpe militare del colonnello Tejero) fino a quando alcuni scandali e seri problemi di salute non lo hanno indotto ad abdicare a favore del figlio Felipe. Ma anche questi ha ricevuto la stessa educazione rigorosa e tradizionale del padre, e pur avendo sposato, contro il parere di molti, non una nobile ma una giornalista con un divorzio alle spalle, si è sempre mostrato più che all’altezza della situazione. 
Le vicende spagnole confortano chi ritiene che nei momenti di crisi un monarca al di sopra delle parti sia meglio di un presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo o dalle Camere riunite e quindi in un certo senso debitore verso la sua parte politica. Questo parere è del resto confortato dalla situazione nella UE: su 28 Paesi membri (per adesso, la Gran Bretagna è ancora dentro), ben sette hanno mantenuto l’istituto monarchico e sono, complessivamente, tra i più stabili.