La Stampa, 2 settembre 2016
Il ritorno del muccinismo
Il ritorno di Gabriele Muccino con «L’estate addosso» autorizza definitivamente a ricorrere a un’etichetta apposita, che vale un’ideologia (molto postideologica ed emozionale), oppure, come si sarebbe detto un tempo, una poetica. La conquista dell’«ismo» c’è oggi, meritatamente, tutta – come già per il Sorrentinismo (da Paolo Sorrentino, per il quale dichiariamo qui una certa predilezione).
Il muccinismo è il cantico visivo della fine dell’adolescenza, del rito di passaggio (mai davvero compiuto) e della problematica condizione dello young adult, secondo canoni molto italiani. L’essere adultescenti è una prerogativa di origine tipicamente nazionale, in quello che non è certo un Paese per giovani, ma in cui in molti faticano a rassegnarsi a crescere e a diventare (più o meno) maturi.
Degli «ismi» il muccinismo possiede il carattere unitario e conchiuso – quest’ultima sua commedia on the road trasferisce a San Francisco il nocciolo duro della sua poetica – e la dimensione internazionale (o globale), che ha fatto del regista romano un habitué di Hollywood. Espressione di un muscolare bipolarismo cinematografico – con legioni di fan e di detrattori (o lo si ama o lo si odia) – il muccinismo, come tutti gli «ismi», infine, mastica e rimastica la stessa idea-forza o, se si preferisce, pensa e ripensa sempre il medesimo pensiero: tu chiamale, se vuoi, nostalgie (di un ultimo bacio, e di parecchio altro ancora).