La Stampa, 2 settembre 2016
Anche l’Omnibus di Longanesi faceva il saluto romano
Il 28 marzo 1937 usciva il primo numero di Omnibus, settimanale di attualità politica e letteraria, diretto da Leo Longanesi. Faceva la sua comparsa nel panorama stagnante del giornalismo italiano un nuovo tipo di giornale, il rotocalco, che attribuiva un nuovo rilievo informativo alla fotografia, cui spettava una funzione integratrice del testo. Omnibus riprendeva modelli già affermati del giornalismo internazionale, specie statunitense. Presentava un’impaginazione e una struttura ben definite. Era un periodico per pochi, in una realtà in cui il giornalismo costituiva uno degli strumenti dell’organizzazione del consenso.
Vi partecipavano figure importanti di giornalisti ed intellettuali, destinati ad essere protagonisti dell’informazione e della cultura anche nel dopoguerra. Tutti motivi che spiegano l’attrazione e il fascino esercitati da questo periodico. Un fattore aggiuntivo di interesse è costituito dalla diffusa opinione che Omnibus sia stato un periodico frondista, che con la sua spregiudicatezza esprimesse velate critiche nei confronti del regime. Una interpretazione favorita dalla soppressione della rivista nel gennaio 1939 e alimentata dopo la morte di Longanesi nel 1957 da parte dei suoi antichi collaboratori e raccolta da altri giornalisti e studiosi.
Tra questi, ebbe un ruolo non secondario Indro Montanelli. Per rispondere a questo interrogativo (si potrebbe dire anche per sfatare questo mito), Ivano Granata (L’Omnibus di Leo Longanesi. Politica e cultura. Aprile 1937-gennaio 1939, Franco Angeli) si è mosso sul terreno concreto della ricerca storica con un’accurata ricognizione delle fonti: ha cercato di definire il fascismo di Longanesi e ha analizzato contenuti e funzione del periodico, per definire l’atteggiamento della testata nei confronti delle scelte del regime e del suo ruolo nel settore delle comunicazioni di massa.
Il quadro che emerge, articolato e non privo di sfumature, risulta comunque chiaro. Il giovane Longanesi fu vicino al fascismo intransigente, vi cominciò la sua carriera giornalistica (diresse L’Assalto, settimanale della federazione di Bologna, collaborò al Selvaggio, fondò L’Italiano, continuò la propria attività anche dopo la chiusura di Omnibus). Fedele a Mussolini (coniò il motto «Mussolini ha sempre ragione»), autore del Vademecum del perfetto fascista, nel momento della nascita della rivista, nonostante una certa disillusione, era ancora inserito «nel variegato ambito del fascismo».
I contenuti del periodico appaiono coerenti con questa impostazione. Pur rilevando con frequenza la novità della formula giornalistica e la spregiudicatezza del linguaggio, Granata evidenzia l’allineamento sulle posizioni del regime, il rispetto delle veline del ministero della Cultura popolare nella trattazione dei temi di politica interna ed estera, che riguardavano, in questi anni cruciali della storia dell’Europa e del fascismo, la politica corporativa e quella razziale, la guerra di Spagna e la Germania nazista, la crisi di Monaco e il totalitarismo staliniano. Omnibus non mancò di contribuire alla costruzione del mito del duce e all’elogio del ruolo assegnato ai giornalisti: «La professione giornalistica è esercitata unicamente da persone che aderiscono al Regime senza riserve mentali».
Un’attenzione particolare meritano le pagine dedicate alla cultura. Omnibus diede spazio alla letteratura, pubblicando racconti di autori stranieri e italiani. Continua fu la presenza del cinema: qui Mario Pannunzio non lesinò critiche e stroncature, colpendo anche kolossal della cinematografia fascista (I condottieri di Trenker e Scipione l’Africano di Gallone, ma apprezzò Luciano Serra pilota e Sentinelle di bronzo), biasimò la mediocrità del cinema italiano (ed europeo) e non nascose la sua predilezione per la produzione di Hollywood. Anche Alberto Savinio parlando del teatro e Bruno Barilli della musica espressero toni critici, ma, secondo Granata, senza oltrepassare mai il confine che divideva la spregiudicatezza del linguaggio da una critica incisiva, primo passo verso la maturazione di una linea di sia pur velata opposizione.
Se Omnibus introdusse novità significative che potevano alimentare un certo senso di estraneità e di disagio nei confronti degli aspetti più grotteschi e retorici del regime, per Granata non si può parlare di fronda, tantomeno di antifascismo. D’altronde, fatte le doverose eccezioni, la maturazione di posizioni antifasciste nel mondo del giornalismo e della cultura sarebbe avvenuta più tardi, nel corso della guerra, quando l’esperienza del primo rotocalco longanesiano si era già conclusa da tempo.