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 2016  settembre 02 Venerdì calendario

Alla testa degli uomini del Califfo c’è un terrorista vissuto a lungo in Italia

E così il temibile Abdelkader Ben Moez Fezzani, noto anche come Abu Nassim, è ancora libero e anzi guida i suoi compagni di jihad. E questo ci preoccupa. Perchè Fezzani è innanzitutto un reclutatore, ma anche un pianificatore di attentati micidiali. Ed evidentemente non è un caso se il pm Maurizio Romanelli, capo del pool Antiterrorismo, di recente ha ripreso in mano il suo caso. 
Fezzani è una vecchia conoscenza della nostra polizia. Giovane immigrato, giunge in Italia dalla Tunisia negli Anni Ottanta. Lavora da manovale e da bracciante agricolo per mezza Italia, anche a Napoli, prima di stabilirsi a Milano. Per qualche tempo, poi, vive a Bolzano con il fratello e lì i due sono arrestati per una storia di piccolo spaccio. «Vendevo hashish, ma sono diventato un uomo pio», dirà Fezzani ai magistrati milanesi.Un classico della radicalizzazione islamista: il giovane balordo che si «redime» con la jihad. Per Fezzani ciò avviene nella moschea di viale Jenner, a Milano, dove c’è quell’altro famoso imam, Abu Omar (che poi la Cia sequestra illegalmente). Ciò avviene nel 1997, quasi venti anni fa, ai primordi del terrorismo islamico, quando il pericolo si chiama Bin Laden e ancora non c’è stato l’11 Settembre. 
Fezzani è già un capo carismatico. La sua abitazione, nelle case popolari di via Paravia, detta «la casa dei tunisini», diventa una rampa di lancio per la Guerra santa in Afghanistan. Recluta gente e la manda a combattere. 
Lo inquisiscono, ma lui è già andato via. Nel 2002 gli americani lo arrestano nella terra di mezzo tra Pakistan e Afghanistan. Una soffiata, probabilmente. Si fa quasi sette anni di carcere, prima a Bagram e poi a Guantanamo. E nel 2008, visto che in Italia pende ancora un mandato di cattura sulla sua testa, gli americani sono felici di mandarlo da noi. A quel punto Fezzani è un nostro problema. 
È accusato dalla procura di Milano di terrorismo internazionale. Ma all’epoca il reato è ancora poco definibile, le prove sono fragili e al processo è assolto (condanna ribaltata in appello). A quel punto avrebbero dovuto scarcerarlo in attesa di appello, però il ministero dell’Interno non lo fa assolutamente uscire di carcere e ordina di portarlo in Tunisia per «motivi di sicurezza». 
In quest’occasione si capisce che l’uomo è davvero un combattente irriducibile. Riesce a fuggire, lanciandosi da un’auto della polizia in corsa, mentre lo stanno portando all’aeroporto. E qualche contatto in Italia deve averlo, visto che lo riprendono soltanto dopo tre giorni a casa di un altro immigrato, a Varese. 
In Tunisia Fezzani diventa un dirigente del gruppo Ansar al Sharia. Nel frattempo si è allontanato da Al Qaeda e affiliato al Califfato. Accorre perciò in Siria. Da lì lo rimandano in Tunisia e Libia, dove è il capo della colonna Isis di Sabratha. Sono «suoi» gli uomini che fanno irruzione sparando al museo del Bardo, a Tunisi. Forse è dietro la strage alla spiaggia di Sousse, dove vengono uccisi ben 60 turisti.
Mette lo zampino anche nel sequestro dei quattro tecnici della Bonatti. Tra i sequestratori c’è infatti uno che parla un buon italiano e che gestisce le trattative. Parla al telefono più volte con la moglie di Salvatore Failla, uno degli ostaggi che poi sarà ucciso. «Senti, senti Rosalba», dice una volta, prima di fargli ascoltare un appello registrato del marito. Non c’è da stupirsi, insomma, che gli apparati italiani fossero preoccupati di un Fezzani libero di agire alle porte di casa nostra.