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 2016  settembre 01 Giovedì calendario

Apple e il paradosso di un paese che non vuole incassare tasse

Dopo una lunga austerity, 14,5 miliardi di dollari di inaspettati introiti fiscali dovrebbero far gioire un governo che forse fronteggerà presto un’altra tornata elettorale. Ma ben lungi dal brindare al responso di martedì sul caso Apple, il governo irlandese cercherà di ribaltare il verdetto. Motivo? La minaccia che esso porta al modello economico irlandese, che è attrarre i colossi americani alla ricerca di un approdo in Europa. L’antitrust Ue ha imposto all’Irlanda di recuperare circa 13 miliardi di euro di imposte dalla società guidata da Tim Cook, in quanto i regimi concessi nel 1991 e nel 2007 prevedevano un’aliquota dell’1% sugli utili ottenuti nel Vecchio Continente tra il 2003 e il 2014. In risposta il governo irlandese presenterà ricorso presso le corti europee. «Fare qualsiasi altra cosa sarebbe un suicidio», ha detto Michael Noonan, ministro irlandese delle Finanze. La tentazione di prendere i soldi è però evidente. La somma in questione equivale a poco meno del 7% del debito in essere e sarebbe una bella compensazione dei tagli previsti dal programma di austerità varato nel 2008.
Des Cahill, sindaco di Cork e membro di Fine Gael, ha infatti subito avanzato pretese sul malloppo. «Molti progetti infrastrutturali come l’autostrada da Cork a Limerick sono stati stralciati durante la crisi e, se questi fondi fossero resi disponibili, Cork ne dovrà beneficiare perché è stata l’epicentro di Apple». Il governo teme che un fallimento nella difesa di società per cui è fiscalmente responsabile e accettare che le proprie politiche fiscali siano equiparate ad aiuti statali non dichiarati dissuada le multinazionali Usa dal tenere aperto il canale degli investimenti.
La scelta dei tempi è pessima. Con la vittoria della Brexit nessun membro del blocco ha una posta in gioco più alta dell’Irlanda, dato il forte legame con la Gran Bretagna. Per questo l’isola di smeraldo guarda all’altra sponda dell’Atlantico. L’ambiente fiscale vantaggioso e stabile è il biglietto da visita, oltre a una forza lavoro specializzata e di lingua inglese, e un sistema giuridico comune. Per questo il governo ha resistito alle pressioni di altri Stati europei sull’aumento dell’aliquota fiscale sugli utili delle società dal 12,5%. Nonostante l’Irlanda non sia ufficialmente un paradiso fiscale, la tassazione delle imprese straniere ha un grande impatto sull’economia. Nel 2015 la crescita è stata del 26%, dieci volte maggiore che nelle altre economie sviluppate. E tutto grazie a una serie di «fusioni al contrario» (reverse mergers), in cui le aziende statunitensi si fondono con società basate all’estero per beneficiare di aliquote fiscali inferiori.
La decisione del governo di rifiutare la manna dal cielo comporterà certo dei rischi. Non è condivisa da una maggioranza in Parlamento e si avvale del supporto di un’opposizione viziata dalla tentazione di spingere per nuove elezioni. Alcuni deputati martedì stavano già discutendo del caso, rimarcando che a Noonan era stato garantito che nessun’altra azienda straniera sarebbe stata indagata dalla Commissione allo stesso modo di Apple. «Questo è un caso molto specifico», ha evidenziato Stephen Donnelly, deputato dei Social Democrats. «La paura del contagio non sembra un elemento da tenere in considerazione. Quali sono gli svantaggi?».