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 2016  settembre 01 Giovedì calendario

Partita finita per Dilma Rousseff. Ecco tutti i perché

«Ofim dos tempos», scrivono alcuni siti brasiliani. Partita finita. È quella di Dilma Rousseff, la presidenta condannata per impeachment e costretta a uscire di scena. Si chiude un ciclo lungo 13 anni, quello dei governi di centro sinistra che hanno guidato il Brasile del miracolo economico, scivolato poi in una profonda recessione: ciclica secondo alcuni economisti, provocata e accentuata da errori di politica economica secondo altri. L’economia, si sa, non è una scienza esatta. E spesso è davvero difficile distinguere tra causa ed effetto.
Il voto di ieri non ha lasciato margini di incertezza, la volontà degli 81 senatori è stata chiara e il “sì” all’impeachment è stato netto.
Rousseff ha combattuto fino all’ultimo, e lunedì ha definito il procedimento di impeachment come «elezione diretta di un governo usurpatore» paragonando la sua messa in stato di accusa a un colpo di Stato. La prima donna alla guida del Brasile è accusata di aver manipolato i conti pubblici e distolto fondi dalle banche statali per finanziare, senza passare per il Parlamento, i programmi di spesa sociale, così da assicurarsi la rielezione a fine mandato. Questi versamenti, non coperti da legge di bilancio sono sempre stati effettuati dai governi brasiliani, definiti “pedaladas”, non ne furono esenti né Lula né il suo predecessore socialdemocratico, Fernando Henrique Cardoso. Nel loro caso, però, si trattò di poche centinaia di milioni di real, che potevano anche passare come errore contabile. Alla fine del 2014, invece, le “pedaladas” attribuibili al primo governo Rousseff hanno raggiunto quota 15 miliardi di euro.
Una crisi, quella del Brasile, nata con connotazioni economico-commerciali, trascolorata nella politica e infine trasformata in una impasse costituzionale. Le responsabilità della politica, delegittimata davanti agli elettori, sono macroscopiche e attribuibili a tutti, non solo al Pt (Partido dos Trabalhadores), Partito dei lavoratori, piombato nel gorgo di uno scandalo per tangenti che ha drenato dal colosso energetico statale Petrobras fondi per circa due miliardi di dollari.
La poltrona di presidente resta quindi al vicepresidente Michel Temer, 75 anni, ad interim dallo scorso maggio; il leader dell’opposizione di centro-destra del Pmdb (partito socialdemocratico) dovrebbe presentarsi al G20 di Hangzhou del 4 e del 5 settembre con un incarico ufficiale che conta di mantenere fino al 2018.
L’eredità economica e soprattutto politica che grava sulle spalle di Temer sarà comunque impegnativa: innanzitutto perché l’inchiesta Petrobras pare che, nei prossimi mesi, travolga anche il Pmdb, partito di Temer. Il presidente della Camera, Eduardo Cunha, che fu tra i principali promotori dell’impeachment contro Rousseff è già stato costretto a dimettersi, lo scorso luglio con l’accusa di corruzione.
Sul fronte economico, il Brasile di questi anni è sprofondato in una crisi profonda. Negli ultimi due anni il Brasile è infatti divenuto il “grande malato” dell’economia mondiale, con un calo del Pil pari al 7% nel biennio 2015-2016 (il peggiore da 80 anni), una disoccupazione record (l’11,60% a luglio), un’inflazione che lo scorso inverno ha superato il 10%, toccando i massimi da 13 anni. Tale crisi è frutto di diversi fattori incrociatisi in una vera e propria “tempesta perfetta”. In primo luogo ha pesato il crollo dei prezzi delle materie prime che ha colpito Petrobras, primo investitore pubblico del Paese, e aggravato le conseguenze del calo della domanda di soia e zucchero dalla Cina.
È mancato il “treppiede macroeconomico”, scrive Giorgio Trebeschi e Carlo Cauti, il primo economista e autore di “L’economia del Brasile”, il secondo giornalista italiano in Brasile. Con il treppiede il governo perseguiva a) ampi surplus primari nei conti pubblici, b) un regime di cambio flessibile, c) il controllo dell’inflazione attraverso un regime di inflation targeting.
In altre parole è stato l’abbandono di queste politiche a generare la caduta del governo di Rousseff.