la Repubblica, 1 settembre 2016
Apple è molto politically correct. Se avesse pagato le tasse lo sarebbe parecchio di più
Questa è la storia di due imprese. Una è la Apple, l’altra sono io (libero professionista con partita Iva). La Apple ha pagato negli ultimi dodici anni, in uno Stato europeo, l’Irlanda, circa l’uno per cento del suo fatturato in tasse (fonte: Washington Post). Io ho pagato negli ultimi dodici anni, in uno Stato europeo, l’Italia, circa il cinquanta per cento del mio fatturato in tasse. Anche tenendo conto che la ricaduta economica della presenza Apple in Irlanda è leggermente superiore alla ricaduta economica della mia presenza in Italia, c’è qualcosa che non va. Non capisco nulla di aliquote e balzelli e il mio unico mandato al commercialista è sempre stato “la supplico, faccia lei”. Ma non serve essere un esperto per capire, anche se molto a spanne, che qualcosa di molto rilevante è accaduto, negli ultimi anni, nel patto tra i cittadini e i loro governi. La sensazione che tra “grandi” interessi e “piccoli” interessi i secondi siano passati in secondissimo ordine è molto diffusa. La progressiva distruzione del ceto medio e la contrazione del Welfare sono evidenti prove a carico. Ed è proprio questo immenso tritacarne la fabbrica del disagio sociale e la matrice di tutti i populismi. Apple è, da sempre, molto politically correct. Se avesse pagato più tasse (tasse, non donazioni private!) lo sarebbe parecchio di più. Nel caso sia un discorso da bar, si sappia che il caffè, comunque, l’ho pagato io e non Tim Cook.