la Repubblica, 31 agosto 2016
A Venezia, gli autori italiani raccontano storie di ventenni in fuga. I giovani di Veronesi lasciano l’Italia per Cuba, quelli di Muccino vanno verso gli Usa, quelle di Piccioni a Belgrado
Alla mostra del cinema, tra i titoli italiani, si affacciano vari film che raccontano giovani poco prima o poco dopo la maggiore età. Nel nuovo film di Gabriele Muccino,
L’estate addosso (nella sezione Cinema nel giardino) un giovane (Brando Pacitto) parte per San Francisco subito dopo la maturità e si ritrova insieme a una compagna di classe, entrambi ospiti di una coppia gay, con i conflitti e gli affetti del caso. In
Piuma di Roan Johnson (in concorso) due liceali e le loro famiglie si trovano ad affrontare una gravidanza imprevista. Indivisibili di Edoardo De Angelis (Giornate degli autori) ha al centro due gemelle siamesi alle soglie dei diciott’anni che vengono portate in giro dal padre, a cantare in feste e processioni a Castelvolturno. In Questi giorni di Giuseppe Piccioni (Concorso) si racconta l’amicizia tra quattro ragazze poco più che ventenni in una città di provincia. A novembre, aggiungiamo, è in uscita Non è un paese per giovani di Giovanni Veronesi, che parte da una trasmissione di Radio2 in cui il regista dialogava con un giovane che aveva deciso di lasciare l’Italia.
È singolare e apprezzabile che registi anche non giovanissimi si interessino ai ventenni, anziché concentrarsi sui quarantenni- cinquantenni in crisi. Ma davvero raccontare i giovani senza lasciarsi abitare dai propri fantasmi e pregiudizi è difficilissimo: chi li conosce? Chi riesce a capirli? Curioso che questi film siano ospitati al festival, due anche in concorso, perché il cinema d’autore e da festival di solito è attratto dai giovani soprattutto come spia per raccontare disagio, emarginazione, insomma come portatori di uno sguardo sulle contraddizioni della società (un notevole esempio recente era Fiore di Claudio Giovannesi). Ma più in generale, nella tradizione del cinema italiano i vent’anni non sono un’età molto amata. All’epoca del neorealismo sono stati importanti i bambini, simbolo della ricostruzione del paese. In anni più recenti, gli adolescenti, visti come propaggine dell’infanzia più che come ingresso, magari conflittuale, nell’età adulta. Da un lato si sono avuti personaggi di adolescenti poveri o marginali, come si diceva, con risultati anche notevolissimi: di recente, ad esempio, L’intervallo di Di Costanzo o Corpo celeste di Rohrwacher. Dall’altro, adolescenti che sono lo specchio dei registi, in una variante light del paternalismo che potremmo chiamare “fratellonismo”. Ne erano esempi, alcuni film precedenti proprio di Muccino e di Veronesi: Come te nessuno mai e Che ne sarà di noi, ma anche un successo di pubblico come Notte prima degli esami. Metafora di questo stato d’animo è spesso l’estate, la sua sospensione, con il tempo delle stagioni che si sovrappone a quello della Storia. Questi film, peraltro, appaiono spesso rivolti più al pubblico dei padri che a quello dei figli, e raramente funzionano su un pubblico di under 20. Uno dei rari casi è stato qualche anno fa Scialla! di Francesco Bruni, mentre un film pensato anche per un pubblico di liceali come Un bacio di Ivan Cotroneo non ha avuto risposta da quel pubblico.
Quella che è quasi sempre mancata, nei ritratti di gioventù del cinema italiano, è la rabbia. Il classico “avevo vent’anni e non permetterò a nessuno di dire che è l’età più bella” di Paul Nizan, il “famiglie! Vi odio!” di Gide e il senso di rivolta verso la società. I personaggi oggi sembrano posseduti soprattutto dal demone della fuga. I giovani di Veronesi lasciano l’Italia per Cuba, quelli di Muccino vanno verso gli Usa, quelle di Piccioni a Belgrado per un’offerta di lavoro, e perfino quelle di Indivisibili sognano la California di Janis Joplin. Chi conosce i ventenni d’oggi sa che non è affatto una fantasia di registi e sceneggiatori.