La Stampa, 30 agosto 2016
Cam caminì spazzacamin... Venerdì in Ossola c’è il raduno mondiale degli uomini neri, oggi paladini dell’ambiente
Nei Paesi nordici gli spazzacamini sono oggi considerati «paladini dell’ambiente». Le radici di questo mestiere raccontano però di un passato fatto di miseria e sacrifici che coinvolse anche tanti bambini.
Se con il ritornello «can caminì» e le danze tra i comignoli di Londra Walt Disney ha regalato al mondo l’immagine romantica di questa professione, si ricorda invece durante il raduno mondiale – sempre in Ossola – degli «uomini neri» di Santa Maria Maggiore, una pagina di storia che parla di emigrazione e patimenti. Da venerdì a lunedì in valle Vigezzo sono attesi più di mille spazzacamini, provenienti anche da Stati Uniti e Giappone. Molti raggiungono per l’occasione l’Ossola ogni anno, motivati dal fatto che questa terra nel lembo settentrionale del Piemonte è la culla del loro mestiere, tanto da essere indicata come «valle degli spazzacamini» sulle carte geografiche delle Alpi del 1500.
«Non è solo una festa, ma un incontro vissuto con grande partecipazione soprattutto dalle vecchie generazioni», spiega Anita Hofer, vice presidente dell’Associazione nazionale spazzacamini.
È sempre surreale, nei giorni del raduno, attraversare la strada e incontrare centinaia di «strani» personaggi che tingono di nerofumo i paesi, distribuendo «carezze alla fuliggine» e strette di mano «porta fortuna». Oltre al folclore, gli organizzatori lavorano per potenziare l’aspetto storico, vissuto in modo drammatico da chi, giovanissimo, è stato costretto ad abbandonare la famiglia in cerca di fortuna.
«Lavoravo durante la stagione invernale lontano da casa, in Piemonte e in Lombardia, percorrendo 40-50 chilometri al giorno in bici e non potendo portare con me abiti di ricambio», racconta Carlo Mattei di Santa Maria Maggiore, unico testimone rimasto in valle del passato dei piccoli «rüsca» (così erano chiamati in bambini in gergo). «Per molti anni ho odiato quella parentesi della mia vita, durata dai 13 ai 20 anni – spiega l’ex spazzacamino, oggi pittore – perché, seppure i guadagni fossero buoni, eravamo sporchi, mal considerati da tutti. La fuliggine era il nostro disinfettante». Nel 2000 lo scrittore ossolano Benito Mazzi ha pubblicato il libro «Fam füm frecc» (fame, fumo e freddo), dopo aver raccolto più di cento testimonianze.
«Gli spazzacamini indossavano abiti poveri, una camicia ben chiusa sotto il collo e un cappuccio con un pezzo di cuoio sulla bocca – rivela Mazzi -. Dopo la pulizia con raspa e scopetto, dovevano sbucare con la mano dal comignolo per dimostrare che il lavoro era ben fatto: fu così che morì fulminato il piccolo Fausto Cappini. Nei secoli qualcuno fece anche fortuna, come Pietro Zanna di Zornasco, inventore a Vienna del calorifero».
Domenica mattina a Santa Maria Maggiore dopo la sfilata ci sarà anche la rievocazione della pulitura sui tetti, con tecniche antiche. «Abbiamo imparato il mestiere da nonno Luigi e papà Franco», raccontano Livio ed Emanuela Milani di Casale Corte Cerro. Il primo è presidente dell’Associazione nazionale spazzacamini, la sorella invece è tra le poche donne in Italia a fare lo spazzacamino. «Oggi usiamo aspirapolvere, spazzole in nylon e videocamera – raccontano -, ma ci ricordiamo con orgoglio di chi l’ha fatto prima di noi: ai nostri occhi agili folletti che si arrampicavano e si guadagnavano da vivere con tanto sacrificio».