La Stampa, 30 agosto 2016
Ad Hangzhou torna il cielo blu. Per il primo G20 cinese la città è stata tirata a lucido, le fabbriche chiuse e i residenti mandati in vacanza
Nel 2016 c’è un altro «grande evento»: si terrà il primo G20 a essere ospitato dalla Repubblica popolare cinese. Appuntamento il 4 e 5 settembre. Per l’occasione Hangzhou è stata tirata a lucido. Ci saranno almeno un milione di volontari nelle strade, circa 20 volte il numero di quelli impiegati per Rio 2016. Agli alberghi della vicina Guangzhou è stato ordinato di rifiutare ospiti di cinque nazioni: Afghanistan, Turchia, Iraq, Siria e Pakistan. Questioni di sicurezza, ma non solo.
Come ha insegnato Pechino durante l’Apec, il cielo blu sarà garantito dalla chiusura di oltre cento fabbriche nel raggio di quattrocento chilometri, mentre moltissime aziende lavoreranno a orario ridotto. Molti dei venditori di cibo ambulanti hanno già chiuso. Da giovedì, inoltre, tutti gli studenti e i funzionari pubblici saranno costretti a una settimana di vacanza forzata. Ai residenti sono stati offerti ingressi omaggio per le attrazioni turistiche della regione.
Eppure la metropoli da 9 milioni di abitanti ad appena 40 minuti di treno veloce da Shanghai, è sempre stata una bellezza. Per i cinesi racchiude la quintessenza della loro millenaria cultura. È sofisticata, armoniosa e ricca. Per secoli il suo lago e le sue colline dedicate alla coltivazione di tè hanno ispirato poeti e letterati. «In cielo c’è il paradiso, in terra ci sono Hangzhou e Suzhou», recita un antico detto. Persino Marco Polo nel suo Milione l’aveva definita «la più nobile città del mondo e la migliore». È stata il fiore all’occhiello della carriera politica di Xi Jinping prima che divenisse presidente. Oggi ospita 50 delle più importanti aziende private del Paese, fra le quali, il gigante dell’e-commerce Alibaba. È, in sintesi, la faccia che la nuova Cina vuole mostrare al mondo. Il 60 per cento del suo pil proviene dal privato (circa 67 milioni di euro) e ha un settore dei servizi che, senza soluzione di continuità dal 2012, conta per oltre la metà sulla crescita economica della città.
Ma per buona parte del 2016 la città è stata un cantiere a cielo aperto. Nuove strade, nuova illuminazione, quartieri distrutti, abitanti trasferiti e alberghi ristrutturati. Non ci sono cifre ufficiali, ma si parla di oltre 21 miliardi di euro spesi per rinnovare la città (contro gli scarsi 4,5 investiti per Rio 2016, per farsi un’idea). Ma gli abitanti sono scontenti. Le chiese protestanti lamentano maggiori e immotivati controlli su tutti i fedeli e le scuole si sono riempite di telecamere. Vietato, come sempre in Cina, lamentarsi. A luglio il funzionario Guo Enming aveva scritto sul suo account di WeChat, il social media più utilizzato in Cina, un post intitolato «Hangzhou, mi vergogno di te». Chiedeva conto dei soldi spesi per organizzare l’evento, visto che equivalgono più o meno al 70 per cento delle entrate annuali del governo cittadino. E concludeva: «Senza ragione, una vibrante metropoli è stata trasformata in una città fantasma». Il suo post è diventato virale. Dopo 60 mila condivisioni è scomparso dalla rete. Guo è stato detenuto dieci giorni per «violazione dell’ordine pubblico».