30 agosto 2016
In morte di Gene Wilder
Roberto Nepoti per la Repubblica
Gene Wilder, alias il dottor Frederick Frankenstein, alia Willy Wonka, alias il fratello più furbo di Sherlock Holmes, è morto ieri all’età di 83 anni nella sua casa di Stamford, Connecticut, per complicazioni del morbo di Alzheimer da cui era afflitto. Wilder non aveva voluto diffondere la notizia della malattia che gli era stata diagnosticata tre anni fa per non dare un dispiacere ai suoi fan e perché, come ha detto suo nipote Jordan annunciandone il decesso, «non sopportava l’idea di un sorriso in meno nel mondo».
Si dice che un attore comico si riconosca dalla sua ombra; ma né la silhouette né il viso di Gene erano a priori destinati alla commedia che ha segnato tutta la sua carriera cinematografica. Basti pensare che si era fatto le ossa all’Actors Studio e che il suo mentore cinematografico, Mel Brooks, lo scoprì nel 1963 mentre recitava in teatro come protagonista di un testo serissimo, Madre coraggio e i suoi figli di Bertolt Brecht, al fianco della fidanzata del regista Anne Bancroft. Intuendo potenzialità comiche dietro il suo sguardo ingenuo e un po’ smarrito, Brooks gli affidò la parte dell’impacciato contabile Leo Bloom (interpretazione per cui fu nominato all’Oscar come miglior attore non protagonista) in Per favore non toccate le vecchiette. Poi lo volle con sé in Mezzogiorno e mezzo di fuoco e in Frankenstein Junior, diventato un vero cult della cinematografia comica, che ne consacrò la fama internazionale.
Anche quando non fu diretto da Brooks, la carriera di Wilder di svolse tutta all’interno della commedia; e con risultati spesso memorabili. L’attore ricoprì il ruolo del titolo nella prima versione di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, adattamento del romanzo di Roald Dahl poi destinato a diventare un cult generazionale. Nel 1972 Woody Allen lo scelse per uno degli episodi più divertenti di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso, dove Gene, perdutamente innamorato di una pecora, si stordisce bevendo Woolite. In seguito la sua carriera ebbe fasi alterne, ma fu punteggiata di periodici successi che hanno segnato altrettante tappe nell’immaginario spettatoriale: dal Fratello più furbo di Sherlock Holmes, suo esordio alla regia, in coppia con l’amico Marty Feldman (che lo aveva affiancata nel ruolo di Igor, il servitore gobbo, in Frankenstein Junior), a Scusi dov’è il West? di Robert Ardrich, dove giocava sulle proprie origine ebraiche interpretando un rabbino a fianco di un duro cowboy (Harrison Ford in fase emergente). Fino all’esilarante La signora in rosso, da lui anche diretto, dove era lo scornato spasimante di Kelly LeBrock: non un capolavoro, ma ottenne un enorme successo di pubblico.
Negli anni Ottanta Wilder lavorerà soprattutto in commedie con l’amico Richard Pryor (Wagon-lits con omicidi di Arthur Hiller, Nessuno ci può fermare di Sidney Poitier), con il quale forma un’eccellente coppia “mista” bianco-nero. Nel 1989 sono i protagonisti di Non guardarmi: non ti sento, diventato un classico della commedia made in Usa. Ma nel corso degli anni Ottanta le sue comparse sullo schermo si fecero gradualmente sempre più sporadiche, perché l’attore si era dedicato alla cura della sua terza moglie, l’attrice comica Gilda Ratner, gravemente malata.
Mel Brooks ha commentato così la notizia della scomparsa: «Uno dei veri grandi talenti del nostro tempo. Ha benedetto tutti i film che abbiamo fatto con la sua magia e mi ha benedetto con la sua amicizia».
Maurizio Porro per il Corriere della Sera
Dire Gene Wilder, l’attore americano nato nel Winsconsin e morto ieri 83enne a Stamford, nel Connecticut, come ha comunicato il nipote, per complicazioni post Alzheimer, vuol dire Frankenstein Junior, che diede a Brooks e lui la nomination all’Oscar per la sceneggiatura: ma l’idea era stata sua. Fu con quella parodia magistrale, diventata anche un musical al top, che nel ’74 l’attore in ascesa colse al volo la grande occasione. Aveva studiato scespiriani monologhi all’Old Vic a Londra (per essere comici bisogna conoscere bene il tragico) e recitato un testo di Brecht in teatro con Anne Bancroft, la signora Brooks.
Mel, il regista più sfacciato di Hollywood, quello che ha parodiato l’idea stessa di cinema, aveva già notato Gene e gli aveva affidato il debutto spiritosissimo di Per favore non toccate le vecchiette, The Producers, dove è un cialtrone che studia per mettere in scena a Broadway un fiasco, Springtime for Hitler, ma diventa moda vintage e non ci riesce.
La chiave di volta della popolarità e della simpatia di Wilder sta nel suo aspetto stralunato (forse all’inizio straniato, in senso brechtiano), un Pierrot surreale e stupefatto, lunare e azzurro come gli occhi, quella faccia spiritata e quei riccioli semoventi che lo rendevano quasi un cartoon ma cui Brooks aveva regalato gag e battute indimenticabili nella più fortunata parodia horror. Dove Wilder è il nipote del barone e inizia la creazione del suo mostro: era l’epoca trasgressiva di Rocky Horror, un filo rosso li unisce.
Wilder era nato l’11 giugno 1933 in una famiglia di ebrei russi immigrati (Jerome Silbermann il nome) a Milwaukee. Dopo un piccolo significativo ruolo in Gangster Story, si butta nel gran mare yiddish e dopo Brooks (con cui girerà anche Mezzogiorno e mezzo di fuoco, 1974 ) appare in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso… (1972) di Woody Allen, nei panni del dottor Ross, episodio della pecora. Con l’amico Zero Mostel, che era stato epurato dal maccartismo, torna nella riduzione del Rinoceronte di Ionesco, per i bimbi in Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, dal libro di Dahl, nel ruolo che sarà di Depp.
Il successo è datato dalla metà dei ‘70 alla metà ‘80, in una serie di film comici-isterici che sfruttano il lato paradossale della vita andando sempre più verso il gag fracassone da cinema muto (Non guardarmi non ti sento, 1989) e rendendo brillante anche il giallo (Wagon-lits con omicidi, 1976). Recita con humour ad personam il rabbino nella prateria col giovane Harrison Ford in Scusi, dov’è il West? di Aldrich e si diverte anche, lui che scrive soggetti e libri, a fare il regista. Cinque titoli: il primo nel ’75, Il fratello più furbo di Sherlock Holmes e l’ultimo Luna di miele stregata dell’86, ma in mezzo c’è Il più grande amatore del mondo, debitore a Fellini e Rodolfo Valentino, e il remake della commedia francese La signora in rosso, in cui è il cittadino medio sedotto da Kelly Le Brock.
Certo il profeta è stato Brooks, seguito da Hiller, ma Wilder aveva il gusto della creazione, sentì molto la solidarietà della coppia formandone alcune di pregio, prima con Mostel poi con Pryor e Poitier, all’epoca di Fuga per due in cui conobbe Gilda Radner che da sua partner diventò sua compagna. Un talento eclettico, che torna al teatro nel ’96 a Londra non più con Brecht ma con un best seller di Neil Simon, altri tempi: ma gli sopravvive il mare magnum dell’humour yiddish di cui fu performer.
Gloria Satta per Il Messaggero
Il Dottor Frankenstein se n’è andato. Gene Wilder, 83 anni e una lunga carriera nel cinema all’insegna di tante commedie fortunate dirette soprattutto da Mel Brooks, da Frankenstein jr a Per favore, non toccate le vecchiette, è morto nella sua casa di Stamford, nel Connecticut. Aveva 83 anni e, dopo essere guarito dal linfoma non Hodgkin grazie a un trapianto di cellule staminali, è stato stroncato dal morbo di Alzheimer, ha raccontato il nipote Jordan WalkerPearlman. Si chiamava in realtà Jerome Silberman ed era figlio di ebrei russi emigrati in America. Prima di sfondare come attore era stato un campione di scherma, che aveva imparato in Inghilterra mentre, parallelamente, seguiva dei corsi di teatro.
Sguardo azzurro ora vispo, ora tenero, sempre stralunato, una nuvola di ricci biondi, Wilder è stato un pezzo da novanta di Hollywood e uno degli attori più amati dal pubblico. Si fece le ossa giovanissimo nei teatri off di Broadway e successivamente entrò a far parte del mitico Actors Studio. L’esordio sul grande schermo avviene nel 1965, nel film di Arhur Penn Gangster Story. L’anno dopo, come protagonista di Per favore, non toccate le vecchiette, ottiene la nomination all’Oscar. È in questo momento che inizia il lungo ed entusiasmante sodalizio con Mel Brooks (che gli venne presentato dalla moglie del regista, Anne Bancroft) e culminato nel 1974 nel fortunatissimo film Frankenstein Jr, esilarante parodia del classico dell’orrore (interpretato da Gene in coppia con lo strepitoso Marty Feldman) che vince l’Oscar per la sceneggiatura, scritta dallo stesso Wilder, nel ruolo irresistibile del Dr. Frederick Frankenstein, a quattro mani con il regista con cui avrebbe poi girato anche Mezzogiorno e mezzo di fuoco. «Il mio lavoro era rendere l’umorismo di Mel più sottile», spiegava Wilder, «mentre il suo era rendere me più greve».
In Willi Wonka e la fabbrica del cioccolato, Gene interpreta poi il pasticciere più strampalato del mondo. Nel 1984 dirige e interpreta la spassosa sexy-comedy La Signora in Rosso, remake del cult francese Certi piccolissimi peccati, che lancia la carriera-meteora della modella mozzafiato Kelly LeBrock e l’indimenticabile canzone di Stevie Wonder I just called to say I love you.
Cinque anni dopo, l’attore è protagonista accanto Richard Pryor della commedia Non guardarmi non ti sento, cui seguirà Non dirmelo non ci credo. Ma è stato diretto anche da Woody Allen (Tutto quello che avreste voluto conoscere sul sesso ma non avete mai osato chiedere), Stanley Donen (Il piccolo principe), Sidney Poitier (Nessuno ci può fermare). Wilder è stato anche regista: a parte La signora in rosso, aveva diretto Il fratello più furbo di Sherlock Holmes, Il più grande amatore del mondo, I seduttori della domenica, Luna di miele stregata. Nel 1989 la morte di tumore della terza moglie Gilda Radner, portò l’attore a fondare la Gilda’s Club a sostegno della ricerca contro il cancro. L’ultima compagna, sposata nel 1991, si chiama Karen Boyer. Lontano dal cinema dal 1991, Wilder si era scoperto scrittore e nel 2005 aveva scritto un libro di memorie, Baciami come uno sconosciuto (Kiss Me Like a Stranger: My Search for Love and Art), pubblicato in Italia da Sagoma. Due anni dopo diede alle stampe il primo romanzo, La mia puttana francese (My French Whore), ambientato durante la Prima guerra mondiale, nel 2008 ha pubblicato il secondo, The Woman Who Wouldn’t, mentre nel 2010 è stata la volta di una raccolta di racconti, What is This Thing Called Love?
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Alberto Infelise per La Stampa
«Si-può-fare!». Pochi attori sono entrati nella storia del cinema grazie a una frase. A Gene Wilder è bastato rivolgere trionfante lo sguardo al cielo e gridare quelle tre parole per passare dalla storia del cinema a quella del lessico famigliare di milioni e milioni di persone. L’attore, nato a Milwaukee ottantatré anni fa da una famiglia di ebrei russi emigrati negli Stati Uniti, è morto ieri sera a Stamford, in Connecticut, in seguito a complicazioni del morbo di Alzheimer da cui era affetto.
La sua interpretazione del dottor Frederick Frankenstein in Frankenstein Junior, probabilmente il più riuscito film di quel genio comico di Mel Brooks, gli diede la fama internazionale e lo tramutò da attore dall’altalenante successo a icona della Settima Arte, grazie anche alla strepitosa sintonia in scena con Marty Feldman, che nel film aveva il ruolo del servitore Igor (ovviamente pronunciato «Aigor», visto che il dottore, per marcare la distanza con l’avo disprezzato, si faceva chiamare «Frankenstìn»).
A dire il vero, potrebbe anche non esserci stato null’altro nella carriera di Gene Wilder che quel film, con quei duetti con Feldman («Lupo ululì, castello ululà», per tradurre l’intraducibile gioco di parole «Werewolf?» - lupo mannaro - «There wolf. There castle» - il lupo è lì, il castello è là) e con Teri Garr-Inga («Rimetta a posto la candela!»).
Ma la carriera di Gene Wilder non è stata solo Frankenstein Junior. Sei anni prima, nel 1968, l’amicizia con Brooks si trasforma in successo sul grande schermo con Per favore, non toccate le vecchiette
! Una specie di manifesto programmatico della nuova commedia americana, tagliente e disincantata: doveva chiamarsi Primavera per Hitler, nessuno lo voleva produrre, finché non ne lesse la sceneggiatura Peter Sellers che spinse perché il film fosse fatto, a patto che cambiasse titolo. Diventò, in lingua originale, The Producers, vinse l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale e rivelò al grande pubblico la coppia Brooks-Wilder.
Tre anni dopo Wilder era protagonista diWilly Wonka e la fabbrica di cioccolato, riuscendo a rendere (se mai fosse possibile - e dimostrando che lo era) ancor più stralunato il personaggio creato dalla penna di Roald Dahl. Troppo difficile, a tratti inquietante, lo sguardo di Wilder è forse troppo penetrante per il pubblico di bambini al quale il film in teoria sarebbe dedicato. Clamoroso insuccesso commerciale, seguito da clamorosa rivalutazione nel futuro, fino al remake di Tim Burton, protagonista Johnny Depp.
Ma il successo è alle porte. Il 1972 è l’anno della parte nel film a episodi di Woody Allen Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (Ma non avete mai osato chiedere). Porte aperte da parte dei produttori, fiducia. Wilder inizia a lavorare a un soggetto che non lo convince fino in fondo, ma che con l’amico Mel Brooks saprà far diventare Frankenstein Junior. Nel frattempo Brooks sta girandoMezzogiorno e mezzo di fuoco, la prima delle sue parodie di genere: in questo caso quella del western classico, che nelle mani della coppia diventa una feroce (e divertentissima) satira antirazzista con Wilder protagonista.
A completare gli anni gloriosi di quella comicità divertita e dissacrante è Il fratello più furbo di Sherlock Holmes, ancora in coppia con Marty Feldman.
Finiti gli Anni Settanta, per Wilder, che fiuta l’aria e capisce che bisogna dirigere il timone verso nuovi orizzonti, inizia una serie di grandi successi commerciali, non sempre accompagnati da una reale riuscita comica. Sicuramente l’accoppiata con Richard Pryor sfrutta al meglio l’enorme popolarità dell’attore afroamericano. Insieme gireranno tre film: Nessuno ci può fermare, No
n guardarmi: non ti sento e Non dirmelo... non ci credo.
Ma ogni immaginario degli Anni Ottanta che si rispetti non sarebbe degno di esistere se non comprendesse alcune immagini (e la colonna sonora: I just called to say I love you, di Stevie Wonder) di La signora in rosso, del 1984. Kelly LeBrock danza sopra uno scarico dell’aria, la medesima aria le alza il vestito rosso (colore a parte e Marilyn Monroe a parte, siamo dalle parti di Marilyn Monroe) scoprendo lo scopribile. L’imbranato Wilder trasecola, il pubblico trasecola, il film è brutto ma trasecola anche lui e a suo modo entra nella storia del cinema.
Da venticinque anni Wilder non recitava più per il cinema, scarse le apparizioni a teatro e in tv. Poche le notizie su di lui. Fino, ahinoi, a ieri.