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 2016  agosto 30 Martedì calendario

Il più grande ponte in cristallo è in Cina. In omaggio a Mao

In fatto di ponti il partito-Stato non transige: o sono da record, o costruirli non vale la pena. È l’ultima “guerra fredda” della campata: nel Novecento gli ingegneri strabiliavano negli Usa, nel nuovo millennio il tecnicamente impossibile viene abbattuto in Cina. Per la propaganda, in attesa della missione su Marte, è come la Luna: superare il vuoto diventa il simbolo del sorpasso nella conoscenza, dell’influenza nazionale che permette di realizzare i sogni globali. La meraviglia, nella culla dell’opacità, è trasparente e di cristallo. Supera il canyon di Changsha, nel parco naturale di Zhangjiajie, nella foresta di Tianmenshan, la “porta del cielo”. Non è un caso se la regione è quella dello Hunan: poco lontano, nel villaggio di Shaoshan, è nato Mao Zedong.
L’opera, inaugurata il 20 agosto, è idealmente dedicata al Grande Timoniere, morto il 9 settembre di quaranta anni fa. La sua rivoluzione rossa imponeva ai compagni di «superare le montagne». Gli eredi lo prendono ancora alla lettera. Il nuovo ponte è il più lungo e il più alto del mondo realizzato in cristallo: consente di camminare tra due picchi distanti 430 metri ed è sospeso su una gola profonda 300. Anche il luogo, tra i palcoscenici, è già una star: James Cameron lo ha scelto per girare le scene-mito di Avatar, ribattezzando le tre vette della catena di San-Shan nelle “montagne Hallelujah”.
A disegnare il ponte «dei cuori coraggiosi» è stato l’architetto israeliano Haim Dotan: 99 pannelli trasparenti a tre strati, fissati ad una struttura in acciaio larga sei metri, sottile e leggera per poter «volare nel vento». L’obiettivo è trasformare una remota meta per pochi escursionisti in una destinazione irresistibile per tutti: 800 fortunati alla volta, massimo 8 mila al giorno per scongiurare disastrosi assalti di massa. Il problema, alla vigilia dell’apertura, era convincere il popolo che correre sul vetro a mezzo chilometro da terra fosse sicuro.
Lo scorso ottobre, nello Henan, brividi e imbarazzo hanno travolto il «sentiero di cristallo» sospeso sopra lo Yuntaishan Scenic Park: due settimane di folla e già profonde fratture a sbriciolare la via, presentata «a prova di esplosione». Così i funzionari comunisti, per risparmiarsi la gogna, questa volta hanno messo le mani avanti: il ponte dei record è stato preventivamente attraversato da un’auto e da un camion da due tonnellate, i giornalisti sono stati invitati a «prendere a mazzate con tutta la forza possibile» i riquadri di vetro. Test superato, stupore generale e orgoglio patriottico, come impone la vigilia del G20 di Hangzhou. A Zhangjiajie le comitive ora possono camminare anche su un sentiero trasparente di cento metri, lungo i salti di roccia. Vertigini turistiche assicurate, però mai quanto quelle promesse a Chongqing: primato anche qui, anello di vetro lungo solo 27 metri, ma sospeso sopra 718 metri di canyon.
Per Pechino i ponti sono un’ossessione. Nel 2007, proprio nella baia del prossimo G20 di Hangzhou, è stato inaugurato quello oceanico più lungo del pianeta, 36 chilometri tra Shanghai e Ningbo. Entro l’anno prossimo, l’opera mondiale del millennio: ponte da 50 chilometri, sei corsie sopra il mare per 35, tra le isole di Zhuhai, Hong Kong e Macao, nel delta del Fiume delle Perle. La lunga marcia della Cina, a settant’anni dalla rivoluzione, finisce in un colossale selfie: di gruppo, ma sempre nel vuoto.