Corriere della Sera, 27 agosto 2016
Bernanke e Summers contro la Yellen
La maggioranza di americani, dovendo scegliere, preferirebbe avere in casa l’acqua corrente piuttosto che un personal computer. Tre miliardi di «smartphones» nel mondo o un «social network» da un miliardo e mezzo di iscritti potrebbero aver contribuito all’economia meno della scatoletta di latta sigillata: da quando fu inventata alla fine dell’800, quest’ultima ha reso la carne trasportabile ovunque negli Stati Uniti, ha migliorato l’apporto di proteine per decine di milioni di uomini e di bambini, ha allungato l’aspettativa di vita e contribuito all’efficienza sempre maggiore degli operai nelle metropoli americane. In modo simile la lavatrice negli anni 50 ha liberato le donne dalle mansioni di casa, ha permesso loro di irrompere nelle aziende accelerando il lavoro di molti uffici (forse) più di quanto abbia mai fatto Internet.
Paradossi del genere, messi in luce dall’economista della Northwestern University Robert J. Gordon, spiegano molto dell’ambiguità che ieri Janet Yellen ha sapientemente mantenuto. Ancora una volta la presidente della Federal Reserve non ha saputo segnalare neanche in modo vago il momento del prossimo rialzo dei tassi d’interesse. Semplicemente, ha ammesso che gli sviluppi dell’economia americana restano poco leggibili per lei e i suoi colleghi alla Fed. Ormai nel suo settimo anno, la ripresa continua a deludere: per la prima volta dopo una recessione negli Stati Uniti non ha mai raggiunto un ritmo annuo di crescita del 3%, malgrado la piena occupazione e 17 milioni di abitanti e consumatori in più dal 2009. La stessa Fed ha fallito per eccesso di ottimismo 13 delle due ultime 15 previsioni di crescita degli Stati Uniti, come sottolinea il Wall Street Journal. E i cambi di rotta dettati dall’insicurezza continuano a ripetersi: all’inizio dell’anno i componenti del vertice della Fed prevedevano quattro aumenti dei tassi d’interesse nel 2016, ma non ne hanno ancora deciso neppure uno perché temono di alterare i fragili equilibri dell’economia.
Robert Gordon ha una spiegazione: l’acqua corrente, la distribuzione delle proteine di carne su migliaia di chilometri, la lavatrice e altre innovazioni di molti decenni fa erano più rivoluzionarie delle tecnologie degli ultimi vent’anni. Un antibiotico salva più vite di un milione di email, nota Gordon. Di recente nel suo blog anche Ben Bernanke, il predecessore di Yellen alla Fed, mette in luce dettagli che potrebbero dargli ragione. La crescita della produttività – la capacità di generare valore di un tempo dato di lavoro – «ha purtroppo deluso ripetutamente durante questa ripresa». Gli economisti più celebri la prevedevano intorno al 2% nel 2009 ma oggi negli Stati Uniti, nota Bernanke, viaggia «più vicino a 0,5% l’anno». Di qui l’ultimo paradosso che l’ex presidente della Fed ricorda in una nota impercettibilmente abrasiva: da anni i suoi successori nella banca centrale americana non fanno che formulare stime sul potenziale di crescita del Paese o sui tassi d’interesse a velocità di crociera, per poi correggerli in peggio.
In questo l’Italia sta diventando involontariamente un modello. Come sempre quando la produttività ristagna, prima o poi il clima attorno alle istituzioni si avvelena. Non solo fra la banca centrale e l’opinione pubblica americana, presso la quale la fiducia nella Fed si è dimezzata in questi anni secondo un sondaggio Gallup. Succede anche nel cuore delle élite che fino a ieri guidavano il Paese sulla base di un consenso di fondo fra loro. Tagliente, Bernanke dal suo blog consiglia agli analisti di non dare troppo ascolto agli attuali, ondivaghi leader della Fed per capire dove andranno i tassi: «Gli osservatori trarranno meno beneficio nell’analizzare le loro dichiarazioni o discorsi, e più dal prestare attenzione ai dati sull’economia». Ieri da Jackson Hole Yellen gli ha risposto con una punta di stizza altrettanto dissimulata nel linguaggio accademico: «Il livello (adeguato, ndr) dei tassi a breve termine varia nel tempo in reazione a spostamenti nelle condizioni economiche che spesso sono evidenti solo con il senno di poi».
C’è poi chi non si limita alle critiche felpate, perché l’incertezza di questi mesi sta generando anche una sfida di potere. Ieri sul Wall Street Journal Larry Summers, ex ministro del Tesoro di Bill Clinton e consigliere di Barack Obama, ha avuto parole di una violenza senza precedenti per Yellen. «I vertici della Fed hanno perso credibilità prevedendo costantemente una stretta che, per prudenza, non hanno mai messo in pratica – ha detto —. L’effetto sugli investimenti è stato scoraggiante». Ma forse la sua non è solo una battaglia di idee. Summers era favorito per la presidenza della Fed quattro anni fa, prima di dover gettare la spugna di fronte a chi lo accusava di aver espresso in pubblico pregiudizi sulle donne. Solo una presidente donna degli Stati Uniti come Hillary Clinton potrebbe nominarlo al posto di Yellen nel 2017. Lui, nel frattempo, si aiuta come può.