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 2016  agosto 27 Sabato calendario

I tre nemici del pirata Bolloré

Vincent Bolloré è un finanziere di lungo corso, abituato alle tempeste. E ha le spalle abbastanza larghe per affrontare qualsiasi maroso. Ora però con la sua Vivendi  deve guardarsi le spalle da tre «nemici» contemporaneamente: Hollande, Renzi e Berlusconi.
In Francia Bolloré deve fare i conti con l’azionariato del gruppo di cui è presidente del consiglio di sorveglianza, e in particolare con soci di minoranza che non sono oggi tutti compatti attorno alla sua figura. Anche perché i conti semestrali presentati giovedì 25 hanno visto l’utile netto dimezzarsi a 911 milioni (anche se nel 2015 c’era una posta straordinaria) e soprattutto hanno registrato la débâcle finanziaria di Canal+.
La pay tv ha perso 106 milioni nella prima metà dell’anno, ha perso quasi 300 mila clienti e ha dovuto avviare un robusto piano di taglio di costi per un ammontare di 300 milioni, metà dei quali legati alla produzione e all’acquisto di contenuti. Simili numeri non sono ovviamente piaciuti al mercato, tanto che il titolo Vivendi venerdì 26 è arrivato a perdere oltre il 4,5%, chiudendo poi in calo dell’1,73% a 17,27 euro e registrando la peggior prestazione settimanale sull’indice Eurostoxx50 (-1,9%).
Tra l’altro la caduta borsistica dell’ultima seduta settimanale ha bruciato quasi 400 milioni di capitalizzazione del gruppo, che sta diversificando parecchio la propria attività comprando Gameloft, una partecipazione in Ubisoft (società produttrici di videogame e giochi online), una quota in Banijay-Zodiak (big mondiale della produzione tv partecipato da De Agostini) e ovviamente il 24,7% con cui controlla Telecom Italia.
Alle tensioni finanziarie va poi aggiunto lo scarso feeling che si registra tra Bolloré e il presidente della Repubblica François Hollande. Quest’ultimo nel libro che raccoglie le sue interviste etichetta così il finanziere bretone: «Penso che non ci si debba fidare di Bolloré e non solo politicamente. Quelli che non sono stati attenti sono morti. È un pirata». D’altronde mister Vivendi, accreditato di un patrimonio personale di 5,5 miliardi dollari, è assai vicino all’ex presidente Nicolas Sarkozy, pronto a tornare in corsa alle elezioni della prossima primavera, che non dovrebbero invece vedere ai blocchi di partenza Hollande. L’amicizia è talmente forte che Sarkò trascorse parte delle vacanze estive 2015 sullo yacht di Bolloré.
Intanto, se in Francia la situazione è quella descritta, in Italia i fronti caldi sono due. Escludendo il settore bancario-assicurativo (Bolloré è primo socio di Mediobanca  e punterebbe a un polo a tre con Generali  e Axa, ma il progetto non è di facile realizzazione e soprattutto richiederebbe tempi lunghi e accordi incrociati), il patron di Vivendi nel volgere di pochi mesi ha visto rivoltarsi completamente il fronte amico.
Dapprima il premier Matteo Renzi e l’ex presidente del Consiglio nonché patron di Mediaset Silvio Berlusconi hanno agevolato l’ingresso di Vivendi nel capitale di Telecom e la definizione dell’acquisto della pay tv Mediaset Premium (oltre all’incrocio azionario tra Vivendi  e la stessa Mediaset ), ma poi gli hanno messo i bastoni tra le ruote. Renzi lo ha fatto indirettamente, attraverso la Cdp, schierando Enel contro la Telecom gestita dall’amministratore delegato Flavio Cattaneo nel progetto d’integrazione con Metroweb, azienda che dal punto di vista industriale è ben più affine all’ex monopolista telefonico che non a quello elettrico.
Mentre sul fronte televisivo, ossia sul dossier Premium, dopo l’intesa di aprile (condita da dichiarazioni in merito a progetti di respiro internazionale per fare la guerra a Netflix e alla Sky di Rupert Murdoch), adesso Bolloré e Berlusconi sono ai ferri corti. Vivendi  accusa Mediaset di aver definito un business plan 2018-2020 per Premium (2 milioni di clienti e 100 milioni di euro di perdite a fine giugno) «irrealistico» e prova a rivedere le carte in tavola (acquisto del 100% della televisione a pagamento, valutata 756 milioni, e scambio azionario del 3,5% tra le due capogruppo).
Dall’altra parte Mediaset vuole che il contratto venga rispettato e chiede complessivamente 2 miliardi di danni. Probabilmente si tratta di uno scontro destinato a concludersi con un accordo. Anche se al momento le parti sono distanti soprattutto sulla valutazione dell’asset oggetto della trattativa. Ma il rischio per entrambi è che arrivi Sky a sparigliare le carte, magari prendendo (e chiudendo) Premium per poter andare a trattare in beata solitudine l’acquisto dei diritti televisivi della Serie A e della Champions League.