la Repubblica, 27 agosto 2016
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Biografia di Titti Postiglione
Di terremoti ha riempito le sue missioni, i ricordi più duri e stagioni indimenticabili di apprendimento maledette dalla polvere. «Corpi, volti, paesi. Ricordo tutto, perfino del mio primo terremoto di bambina, da cui tutto è partito, perché fu solo una fortuna essere nata in quella casa al settimo piano di un palazzo fatto bene». Era il 1980 naturalmente, epicentro Irpinia, ma lei fissava i muri che ballavano nel bell’appartamento di papà a Salerno.
Però anche adesso, soprattutto qui tra Arquata e Amatrice, non è l’immagine della sofferenza quella che si porta dietro questa dirigente dal peso piuma e dal polso duro. Vincere, per Immacolata Postiglione detta Titti, significa capovogere. «Se mi chiede qual è l’immagine del sisma per me, un simbolo, le devo dire la verità: i soccorritori», spiega la vulcanologa minuta e diretta che guida l’ufficio Emergenze. Il volto nuovo della Protezione civile che fu di Barberi e Bertolaso è una ex studentessa della Federico II, di 45 anni, che non si fa chiamare direttore. «Anzi, i miei amici mi sfottono – sorride – Se a parlare è un collega dirigente lo chiamano ingegnere, se sono io divento solo Titti», sorride. Una pacata signora in polo blu e scarponcini che non indossa anelli né orologi. E non dice mai «presto». Lo fa.
Terremoto di San Bartolomeo, agenda del terzo giorno da quel 6.4 del 24 agosto. «Solo il terzo giorno, badi, vede come cambia la percezione del tempo? – sottolinea il prefetto Fabrizio Curcio, capo della Protezione civile, mentre si avvia nella sala Condorelli della prefettura di Rieti a coordinare un’altra riunione prima del rientro nella capitale – Ora però vanno strutturate le risposte e bisogna sapere chi ha bisogno di cosa e chi può e deve darglielo». Un saluto, gli ultimi scambi, poi Titti riparte: cercando di capire come sciogliere cosa. «Entriamo nella fase più complessa. Concentrare ogni competenza, razionalizzare i compiti, dare risposte precise a bisogni precisi. I problemi che abbiamo oggi? Sono meno di quelli di domani, questo è sicuro».
Prima emergenza tra le emergenze: «Mancano i refrigeratori nelle tendopoli delle sale mortuarie. Chiamiamo le Prefetture, bisogna mandarglieli prima dell’alba, domani farà caldo di nuovo». Secondo problema: «Abbiamo il famoso ponte che offre una via di accesso ad Amatrice ormai bloccato e sospeso, ha avuto un secondo e serio cedimento. Bisogna sentire ingegneri e Genio civile, forse si può pensare a un bypass mobile». Terzo problema: «Dobbiamo filtrare l’onda enorme e potenzialmente dannosa del volontariato, è bellissimo offrirsi, ma non possiamo intralciare, ingolfare. Va spiegato però: con gratitudine e chiarezza».
Dice che il silenzio le ha parlato anche quella notte. I dati non arrivavano, da Amatrice a Pescara del Tronto i numeri di morti e feriti stentavano ad arrivare e Titti registrò mentalmente, come i suoi “maestri” le hanno insegnato («Perché abbiamo la più grande scuola di protezione civile, all’estero lo sanno e ci chiedono di formarli») che questa storia era tremenda. «Il tempo che passa senza che affluiscano i dati è un misuratore di gravità. Significa che laggiù le macerie sono troppe, lo scavo è profondo e l’area da indagare vastissima». Poi la conferma. «Un primo appunto con i nomi dei bambini, le loro date di nascita: le stesse dei miei nipotini», racconta lei che ha vissuto l’Aquila, l’Emilia, da contrattista anche San Giuliano di Puglia. Alle 7 di ieri è negli uffici di via Vitorchiano a Roma, alle 8 a dare gli ultimi drammatici bilanci, alle 9.30 a Fiumicino, alle 10 scende da un elicottero a Rieti, alle 15 partecipa a un incontro con due governatori ad Ascoli Piceno, alle 17 cala di nuovo a Rieti negli immensi e abbandonati uffici di un vecchio palazzone Inps per dare direttive sulla nascita (imminente) della futura Dicomac, la Direzione di comando di tutte le attività emergenziali che sarà la nuova casa, per lei, e la nuova porta dello Stato cui bussare per tutte le popolazioni colpite. Una mega centrale operativa sorgerà in quello spazio dismesso e ancora sporco, riunirà sotto lo stesso tetto oltre 200 persone. La Postiglione fa i tre piani su e giù sopra vecchia cartacce e piccoli detriti, fa chiamare Enel, gas, telcomunicazioni. Guarda gli uffici deserti ma è contenta come se vedesse con due giorni di anticipo: «È perfetta, no? Bella la struttura. Qui entro 70 ore ci stiamo tutti, sta già arrivando la luce», dice al telefono a un collega. E spiega: «Niente indirizzo ancora, per favore. Però saremo veloci. Qui dentro ci andranno i rappresentanti delle quattro Regioni coperte dal decreto della presidenza del Consiglio: Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo. Ci vanno tutte le componenti delle forze dell’ordine, le funzioni dello Stato, i Comuni con l’Anci, tutti i servizi, i tecnici, la comunità scientifica, perfino le soprintendenze e gli storici dell’arte, oltre ai nostri collaboratori e autisti, fondamentali». Confida che partì tutto da quella spaventosa scossa, 1980. «Capii che la prevenzione era tutto, che ero stata una bambina fortunata».