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 2016  agosto 28 Domenica calendario

Dalle pergamene a quella igienica, così la carta diventa arte

Forse non ci sarebbe neppure bisogno di esagerare come Anastassia Elias, pittrice e illustratrice parigina, che con i suoi Rouleaux (2009) ha trasformato i rotoli di carta igienica (consumati) in un’opera d’arte. Anche senza tanti eccessi, insomma, la carta resta un supporto fondamentale per la creatività e l’invenzione d’autore (basterebbe in fondo ricordarsi dei lavori di Kentridge, Hirschhorn e Kwon Young-Woo alla Biennale di Venezia 2015). Sia che si tratti di un papiro, di una pergamena, di una carta di gelso oppure di riso, di un foglio realizzato con i cascami del cotone. Sia che le sue origini si perdano nella Cina, nella Sicilia o nel mondo arabo. Un’importanza, quella della carta, che deriva da certi suoi particolari pregi: la duttilità, la capacità di assorbire tutto (l’acqua ma anche il colore), la relativa economicità (che tanto avrebbe affascinato Keith Haring). E quella sua consistenza che, ad esempio, sembra fare da degno complemento all’ukiyo-e, tecnica di stampa artistica su carta fiorita in Giappone nel periodo Edo (XVII-XIX secolo), fitta di cortigiane e lottatori di sumo, legata a grandi firme come Utamaro, Hokusai, Hiroshige.
Difficile, insomma, immaginare gli acquerelli di Canaletto e Winslow Homer, i disegni di Leonardo e Goya, le incisioni di Escher e Piranesi, le acquaforti di Rembrandt e Cy Twombly, i papiers collés di Picasso e i décollage di Mimmo Rotella senza pensare che sotto c’è una carta ogni volta diversa e ogni volta unica (per l’acquerello, ad esempio, viene di solito utilizzata una qualità ad alta percentuale di cotone, la cui fibra non si modifica a contatto con l’acqua).
La prima edizione di WopArt/Work on Paper Fair, la fiera internazionale interamente dedicata alle opere su carta in programma dal 2 al 5 settembre al Centro Esposizioni di Lugano, propone appunto un viaggio (una cinquantina le gallerie internazionali presenti con un ricco cartellone di mostre collaterali, conversazioni e incontri con l’autore) alla scoperta di un mondo di carta. Quella carta che ha letteralmente sedotto artisti come Bernardo Strozzi, Francesco Solimena, Giacomo Balla, Giosetta Fioroni, Marc Chagall, Hsiao Chin, Anthony Gormley (tra loro anche numerosi fotografi come Gian Paolo Barbieri, autore di uno stupefacente ritratto di Audrey Hepburn del 1969). Con un effetto immediato: la conferma che con la carta si possa fare (quasi) tutto, essere al tempo stesso toccanti come Giovanni Benedetto Castiglione che attorno al 1650 disegna un magnifico Vecchio con grande barba oppure pieni di una allegra poesia come Bruno Munari nel suo Negativo Positivo del 1996.
Dunque Anastassia Elias. Ritagliando dentro i suoi rotoli di carta igienica consumati scene di vita più o meno vissuta (la Torre Eiffel, i mulini a vento, gru, acrobati, ballerini) e illuminandoli con una luce soffusa cercando l’effetto ombre-cinesi, ha soltanto replicato un’elaborazione dal sapore trasgressivo degna di un Piero Manzoni (1933-1963), non tanto però quello della Merda d’artista, quanto quello delle sue Linee : linee tracciate tra il 1959 e il 1961 in esemplari di diversa lunghezza (da 176 centimetri a 7.200 metri), poi arrotolate e chiuse in contenitori di cartone che non si sarebbero mai dovuti aprire, adeguatamente etichettati e firmati. A unire le due trasgressioni ancora una volta c’è la carta.
Collage, découpage (in pratica pezzi di carta incollati su mobili per abbellirli), origami e persino i carri del Carnevale di Viareggio (esaltazione di un materiale considerato plebeo come la cartapesta): infinite sembrano le variazioni sul tema della carta d’artista (come le Infinite gradazioni del buio o i fiori di Davide Benati), senza escludere la cara vecchia carta «da spolvero» degli architetti pre-rendering. Variazioni che partono da lontano: dalla produzione e diffusione della carta che gli Arabi avrebbero portato a termine migliorando le tecniche di lavorazione apprese dai Cinesi, per arrivare alle innovazioni italiane che nel XIII secolo segneranno il definitivo passaggio dal tipo di carta orientale a quello occidentale, destinato a conquistare i mercati europei e a divenire, nella seconda metà del Quattrocento, l’unico supporto o materia scrittoria della sorgente arte tipografica.
Ma quando e perché la carta trova la sua definitiva consacrazione? Certo con la diffusione della stampa nell’Europa del Quattrocento (il Trattato della pittura o libro d’arte di Cennino Cennini risale al 1437) e con la maggiore disponibilità dello stesso materiale: fattori che porteranno a un sempre maggior numero di riproduzioni artistiche su carta soprattutto di soggetto religioso (come la Madonna del Fuoco di Forlì) eseguite inizialmente con la xilografia (incisione di immagini su tavolette di legno, le matrici, poi inchiostrate per la realizzazione di più esemplari dello stesso soggetto mediante la stampa con il torchio). Un metodo in qualche modo di democratizzazione e di divulgazione dell’arte (mentre pittura e scultura continueranno a creare opere uniche) che troverà definitiva certificazione con le incisioni di Callot e Stefano della Bella.
Il primato del disegno era il titolo della mostra (catalogo Skira) che lo scorso anno aveva messo idealmente a confronto i disegni dei grandi maestri con i loro dipinti conservati alla Pinacoteca di Brera, a Milano. Un modo per «innalzare una tecnica, quella del disegno, a vero e proprio esercizio intellettuale», ma anche per confermare il primato artistico della carta. Dunque Madonne e sante di Pietro da Cortona, Adorazione dei Magi del Correggio, vedute di Venezia di Canaletto, autoritratti di Boccioni, angeli ribelli di Licini, figure femminili di Giacometti, Bestsabee al bagno di Hayez: da una parte, le opere «complete» e spesso più note realizzate su tela o tavola; dall’altra, le stesse opere o i loro relativi studi in versione cartacea, tracciate a colpi di carboncino, matita, pastello, inchiostro, penna, pietra nera, acquerello. Tra queste anche uno Studio per due volti femminili rivolti a destra, datato tra il 1503 e il 1504, e firmato da Raffaello: un disegno su carta in preparazione dello Sposalizio della Vergine conservato a Brera, che certificava indirettamente il valore commerciale (aste, mercanti, collezionisti) che questi lavori su carta possono raggiungere (nonostante si possa al tempo stesso acquistare un Rodin per sole 20 mila sterline).
Lo stesso Raffaello detiene il secondo posto tra i più cari lavori su carta, una Testa di Apostolo venduto da Sotheby’s a Londra nel dicembre 2012 per 47,8 milioni di dollari (record assoluto ancora una volta per Munch, un pastello de L’Urlo comprato dal businessman Leon Black sempre nel 2012 per 119,9 milioni di dollari).
Così, mentre a Lugano sta per andare in scena WopArt, a Lucca tocca (fino al 10 settembre) all’ottava edizioni di Cartasia, nata nel 2004, che si propone sin dalle origini di «promuovere tradizione, etica, sostenibilità» proprio attraverso «l’arte e la carta» (in uno dei più grandi distretti di produzione cartaria d’Europa). Tema di questa edizione: «Confini e prospettive», con una serie di lavori monumentali realizzati naturalmente con carta: Pyramid of Peace di Heike Schäfer e Mother di Laurence Vallières, il busto di uomo con felpa di Michael Stutz ( Hoodie ) e il guappo di cartone di Giulio Biazzi ( Uec 9000 ), i nove grandi struzzi di Via dal recinto di Antonio Bagni e la navicella per migranti di We all fall to earth di Mykl Wells. Insomma, una celebrazione della Paper Art contemporanea.