La Lettura, 28 agosto 2016
Tutti i ricchi pazzi per Shakespeare
Senza di «lui» non diremmo che «Bruto è uomo d’onore», non assaporeremmo l’ironia della Dodicesima notte, l’amore travagliato di Antonio e Cleopatra, la poesia della Tempest a. Probabilmente non riconosceremmo il volto del Bardo, almeno come veniva ricordato sette anni dopo la morte. Senza di «lui», soprattutto, non potremmo gustare il monologo integrale di Amleto, essere o non essere... morire, forse sognare. Ecco perché da quasi 400 anni è al centro di ritrovamenti rocamboleschi e guerre all’ultima asta; di esborsi milionari da parte di bibliofili pronti a tutto o dei nuovi ricchi dell’Est, impegnati a soddisfare la «voglia di antico» dei loro rampolli. Nei secoli lo hanno desiderato, posseduto, conservato arcivescovi, collezionisti, lord, truffatori innamorati e tragicamente finiti. Potere di un libro. Il First Folio di William Shakespeare (qui accanto), prima edizione con trentasei opere del drammaturgo (diciotto lavori erano già stati pubblicati, in versioni singole, nei cosiddetti quarto ). Comedies, Histories & Tragedies. Il canone shakespeariano. Finito di stampare a Londra nel 1623.
Non un volume raro. Il testo fu realizzato in quasi un migliaio copie, di cui si conservano meno di 300 esemplari, 235 sparsi nelle biblioteche pubbliche di Regno Unito e America, 82 solo alla Folger di Washington. «Un alto tasso di sopravvivenza – spiega Michelangelo Zaccarello, professore di Filologia della Letteratura italiana all’Università di Verona, fino al 2008 coordinatore del Master in Storia e Tecniche dell’editoria e antiquariato librario – soprattutto se pensiamo che del Morgante di Luigi Pulci, pubblicato a Firenze nel 1478, non esiste neanche un esemplare, come dell’ Orlando innamorato del Boiardo nella prima edizione del 1483. Per fortuna ne resta una della ristampa veneziana del 1487».
Il First Folio, però, fu speciale fin dalla nascita: alla composizione lavorarono cinque persone, un record per l’epoca; i contenuti, straordinariamente corretti, furono approvati dalla compagnia di Shakespeare grazie ai buoni rapporti con il redattore del testo, Ralph Crane. «È considerato la Bibbia di Shakespeare – rivela lo studioso – per il suo livello di attendibilità». Insomma, anche se non si tratta del Santo Graal né di un codice eccezionalmente decorato – «non è certo la splendida Hypnerotomachia Poliphili, stampata da Aldo Manuzio nel 1499» —, anche se la carta non è di pregio, resta un volume fondamentale, tanto da diventare una leggenda in tutto il mondo. Una leggenda cara: la copia Williams, acquistata dal collezionista inglese Daniel Williams nel 1699, è stata venduta all’asta da Sotheby’s a Londra nel 2006 per 5,2 milioni di dollari, «poco» rispetto alla valutazione del 2001, quando un esemplare – secondo gli esperti meno bello rispetto al Williams – fu conquistato all’incanto da Christie’s per 6,2 milioni di dollari, cifra imbattuta per un volume del Seicento. Del resto il First Folio era costoso anche all’origine: nel 1623 il prezzo oscillava tra i 75 scellini e la sterlina, tra i 200 e i 250 euro di oggi. E molto presto divenne oggetto del desiderio per i collezionisti e le biblioteche pubbliche anglosassoni.
La crescita di interesse (e di cifre) continua anche oggi. «Le poche copie rimaste sul mercato – prosegue Zaccarello – sono in mano a uno stretto gruppo di librai, molto noti, che tendono a rivenderle con un venti per cento in più rispetto al prezzo d’asta». I clienti: spesso cinesi, russi, sauditi, indiani i cui figli studiano tra Oxford e Yale. «È la lingua inglese a fare la differenza: una lettera di Byron può valere dieci volte una di Leopardi, i Canterbury Tales, nella prima edizione a stampa del 1477, vanno fortissimo». Eppure anche il mercato del libro sente la crisi: lo scorso maggio da Christie’s una copia del First Folio è stata venduta per «soli» 2,6 milioni di dollari. Follie da bibliofili. O da neomilionari che vogliono affermare lo status raggiunto. Intorno a loro, commercianti seri, altri senza scrupoli o, peggio, delinquenti. Come a Durham, nel 1998: durante una mostra sui capolavori della letteratura britannica sparisce la copia del First Folio che appartiene all’ateneo della cittadina inglese. Furto perfetto, nessuno sa nulla. Fino al 2008, quando un certo Raymond Scott, sedicente esperto di libri antichi, playboy e faccendiere che ama girare su una Ferrari gialla ma vive con il sussidio di disoccupazione, si presenta alla Folger Library – massima autorità nel campo delle autenticazioni shakespeariane – con il volume scomparso. «Vorrei venderlo, arriva da Cuba». Di cubano però c’è solo la fidanzata di Scott, ballerina in un night club che l’uomo vuole impressionare con il suo stile di vita. L’arresto è quasi immediato. Dopo una straordinaria (e inutile) arringa di autodifesa, nel 2010 arriva la condanna a otto anni per ricettazione. Epilogo: nel 2014, a 55 anni, Scott viene trovato morto in cella; il First Folio torna all’Università di Durham.
Sempre nel 2014, in Francia, nella biblioteca di Saint-Omer vicino a Calais, compare una copia unrecorded del First Folio, erroneamente considerata opera del XVIII secolo. L’ultima scoperta risale allo scorso aprile: in Scozia, sull’isola di Bute, nella biblioteca della Mont Stuart House. A quattrocento anni dalla morte di Shakespeare la caccia continua.