Corriere della Sera, 28 agosto 2016
Il potere della musica sui bambini
«Rasenta il prodigioso», «Das grenzt ans Wunderbare», disse stupito Goethe, dopo aver ascoltato il bambino Mendelssohn improvvisare, suonare fughe di Bach e leggere a prima vista un illeggibile manoscritto. Era il 1821 e il «piccolo» Felix aveva poi 12 anni. A sei Mozart già componeva, Beethoven a sette si esibiva al piano davanti ai nobili di Bonn, Britten a sei aveva già scritto, parole sue, «risme e risme di musica» (a due anni chiamava se stesso «dear», cacciava i fratelli e pretendeva di suonare lui solo, al grido «Dear pay pano»!). Tra gli strumentisti, poi, gli enfant prodige non si contano e ancor oggi sono una costante della vita musicale, da Barenboim a Hilary Hahn; Rostropovich a tre anni si mise a «suonare» una scopa, mostrando così ai genitori allibiti una «chiara» predisposizione per il violoncello…
Aneddotica o agiografia a parte, il problema, però, è proprio lo stupore, di cui, dinnanzi alla precocità delle virtù musicali, ancor oggi siamo vittime. Non è giusto. Non è un miracolo se un ragazzino, a otto anni, invece di memorizzare le formazioni della Juve, suona un Preludio di Bach. Anche quest’anno, MiTo programma un concerto specificamente pensato per i bambini: è un modo intelligente per richiamare l’attenzione sull’importanza dell’educazione e della fruizione musicale come bene indispensabile fin dalla prima infanzia. Sabato 3 settembre, al Teatro Dal Verme, l’Orkaan Ensemble di Amsterdam dà vita allo spettacolo Glimp, adatto a bimbi di 2-4 anni: un gioco di ritmi e luci, magiche proiezioni sincronizzate alla musica, contrabbasso e tamburo che dialogano facendo rimbalzare le note come palline da ping pong... Dopo il travolgente Pierino e il lupo dell’anno scorso, con Elio rossovestito e un Conservatorio in delirio, è giusto che MiTo pensi ancora a questo pubblico, a questo aspetto della cultura, in Italia così negletto.
Non si tratta di produrre enfant prodige, ma di considerare la musica parte integrante della formazione. In questi anni, gli studi scientifici che provano quanto giovamento la musica porti alla mente e alla psiche dei piccoli si sono moltiplicati, in ragione inversa alla «risposta» della scuola e della società italiana. Glenn Schellenberg, Università di Toronto, ha dimostrato («Music Lessons Enhance IQ», 2004) un incremento di quoziente intellettivo in bambini impegnati in lezioni extra di musica rispetto a quelli dediti a corsi di teatro o a nessun corso.
Patrick Bermudez («Neuroanatomical Correlates of Musicanship», 2009) ha rilevato l’aumento di spessore della corteccia frontale e temporale del cervello (responsabili di funzioni cognitive superiori) nei soggetti che fanno pratica musicale rispetto agli altri.
La musica nei bambini aiuta l’apprendimento linguistico, la lettura, l’abilità motoria, la tenuta emozionale, l’attenzione e la sua durata, l’autoconsapevolezza, la creatività e la socialità. «I piccoli che studiano musica ricordavano il 17% di informazioni verbali in più», scrive Susan Hallam, Università di Londra, in The power of music. Il bambino che ascolta musica e che fa musica si abitua a focalizzare, ad affrontare una prova, a eseguire un compito con precisione, ad ascoltare gli altri senza sopraffarli. Coglie i suoni come strutture in movimento, figure della mente, emozioni e colori: li «vede» – come gli adulti non li sanno più vedere.