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 2016  agosto 28 Domenica calendario

Il prete e le grotte di Polignano. L’estate del 1925 raccontata da Antonio Baldini

Stralcio dell’articolo intitolati «Preti di poco latino» pubblicato sul Corriere della Sera il 12 luglio 1925
Il paese di Polignano, famoso in Puglia per le sue grotte marine, sorge sopra un’alta scogliera a poco più di mezz’ora d’automobile da Bari. Nella bocca di queste grotte, fuorché della maggiore, ci s’entra come Orlando paladino nelle fauci dell’Orca: in barchetta per la via dell’onde. A noi che ci arrivammo di notte, bianchi di polvere e bruciati come siepi nell’agosto, l’affacciarsi improvviso alla vista di quello squarcio d’abisso tutto sospirante e fragrante di mare, illuminato a luce elettrica e pieno di tavole apparecchiate, non mancò di fare un grandissimo effetto.
Theatrum aecquoreum! Lo spettacolo era d’una così manifesta teatralità che prima di scendere a recitarvi anch’io la mia parte di corista affamato mi fermai un momento a considerarlo dall’alto, dalla piccionaia. Rocce macchiate di tetra umidità pendevano enormi su quella scena a guisa di massicci cortinaggi e intorno tutto era tenebre, risacca e remotissime stelle.
La luce delle lampadine sospese là dentro, per viva che fosse, non vinceva le ombre della caverna e pareva assorbita tutta dal bianco di quelle tavole apparecchiate, intorno alle quali si vedevano muoversi improvvisati camerieri più neri di qualsiasi cameriere al mondo. A destra, fra le pieghe della roccia, s’apriva il palco vuoto e illuminato d’un teatrino di filodrammatici. Dal fondo veniva un soffio, uno sciabordio d’acqua al piede d’invisibili scogli, che teneva tutta l’aria in fresco e delizia. (...)
Quel teatrino minuscolo, quei tavoli apparecchiati proprio come sulla bocca d’Averno sembravano disposti per la rappresentazione di qualche auto sacramental, e quegl’inservienti così neri parevan proprio diavoli che avessero finito allora allora di mettere in punto l’esca d’un infernale trabocchetto.
(...) Si dette principio alla rappresentazione. I diavoli portavano intorno dei colossali timballi di riso e noi dannati (...) eravamo seduti nel centro della caverna in un quadro di quattro lunghe tavolate. Al tavolo di quelli che sedevano colle spalle voltate al fondo, ch’era il tavolo d’onore, sedevano in fila i soliti inscritti al discorso delle frutta, malanno comune a tutte le adunate del genere. Prima delle frutta si spense la luce, e questo segnò il distacco fra la prima e la seconda parte della rappresentazione. (Nell’intervallo si sentì l’abisso soffiare dal fondo, impaziente). Rifatta la luce e venute le frutta, gl’inscritti a parlare non se lo fecero dire due volte. Primo prese la parola un ex-deputato e sottosegretario con barba e occhiali neri, per rinfrescarci nella memoria il quadro dei problemi regionali che ci aveva già schizzato la sera prima; poi la prese l’archeologo della spedizione, perché non ci dimenticassimo su quale terreno tenevamo i piedi; poi si levarono altri due o tre, cuori d’oro, anime nobilissime, ma oratori da un soldo il pezzo, che tennero dei discorsi imbottiti di papere e di pronomi relativi (...).
Ecco levarsi in piedi, che fino a quel momento quasi nessuno di noi s’era accorto che ci stesse, un prete, secco, nero, impettito, e tra lo sgomento di tutti prender anche lui la parola (...). Immediatamente si capì che costui apparteneva a tutt’altra famiglia di parlatori. Non tanto per le cose ch’era entrato a dire (...) ma per lo squillo, la potenza e la portata della voce, che salendo dritta a ferire il cielo della grotta ne svegliò e signoreggiò di colpo tutti gli echi. Dico che sotto la percossa di quella voce tonante, tutta la grotta si mise a vibrare come la cassa d’una chitarra al ronzio d’un calabrone prigioniero.
Non posso credere che il prete di Polignano non conoscesse già da prima il segreto di ridestare uno per uno gli echi addormentati ed ozianti nelle incavature e rivolture di quella caverna (...) Prete e grotta, erano in due a parlare: e le vibrazioni di certe parole erano d’una tale intensità che le finali dei periodi ce le sentivamo alle volte passare sui capelli come un’esplosione in fondo a un pozzo di miniera (...).
Così si vedevano spuntare e scendere giù per la rupe di Polignano gente sopra gente ad ascoltare la mirabolante voce del loro curato. E chi sa che pel mare qualche malinconica sirena non si struggesse in lagrime guardando di lontano la pallida grotta illuminata.