Corriere della Sera, 28 agosto 2016
Quel brutto palazzo rosso che è rimasto in piedi fra le macerie
Nel cuore delle sue macerie c’è una palazzina che adesso, con tutto il resto raso al suolo, sembra più alta di quel che è. Cinque piani più un attico rivestiti di mattoni rossi che, fra la polvere, si vedono anche da molto lontano. È danneggiata, certo, ma la gente che ci viveva dentro si è salvata. Eppure nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla sua resistenza. «Non mi chieda perché proprio quella non è crollata» anticipa la domanda Luigi Bucci che nella vita fa l’ingegnere e che nel decennio 1980-1990 è stato il sindaco di Amatrice. «Il terremoto è una bestia feroce», riflette, «è come la corrente elettrica: se ti tocca ti brucia sennò sei salvo, quell’edificio non è stato toccato quindi ha avuto una buona sorte».
Il palazzo rosso «lo costruirono nei primi anni Cinquanta» racconta Bucci. Lo volle un signore che aveva una merceria e gestiva una pompa di benzina proprio di fronte. «Aveva immaginato di farne un hotel ma quel progetto non andò mai in porto e alla fine tutto il fabbricato fu comprato dalla Cassa di Risparmio di Rieti (poi Intesa Sanpaolo, ndr ). Io da sindaco mi ero posto il problema di contattare i proprietari per cercare di renderlo meno appariscente. I materiali con cui è rivestito non c’entrano niente con quelli della valle che sono pietra o intonaco. Stonava nel colore ed era troppo alto rispetto alle altre case. Avevo pensato che avremmo potuto eliminare un piano e rivestirlo con materiali più, come dire, “autoctoni”... Ma poi non se ne fece nulla».
Finì che il «grattacielo» di Amatrice rimase com’era, la banca si tenne il piano terra per i suoi uffici e il primo piano per la tesoreria, il resto – cioè appartamenti – fu venduto ai privati. L’ex sindaco pensa ai volti delle vittime visti sui giornali: «Li conoscevo quasi tutti...». Da ingegnere, invece, se la prende quando si parla di case restaurate che sono venute giù come birilli. «Io penso che per ristrutturare non si dovrebbero dare dei limiti così rigidi che influiscono sulla sicurezza. E invece arriva sempre la sovrintendenza a bloccare, a dire che nel centro storico non si deve fare questo, toccare quest’altro. Io non dico che il rispetto dell’estetica non conti ma la sicurezza viene prima di tutto, anche se non va d’accordo con l’estetica».
Il palazzo rosso era tutto tranne che in armonia con il resto del paesaggio ma all’epoca a questi aspetti si badava meno e le regole per costruire e per ristrutturare oggi sarebbero tutte fuori norma. «Con le norme attuali, se applicate, mi aspetterei che davanti a un terremoto come questo il danneggiamento fosse prossimo allo zero» conferma Ciro Bolognese, ingegnere strutturista dei Vigili del fuoco che si occupa delle attività tecniche legate ai terremoti. In questi giorni è sul fronte del sisma ad Arquata e dice che sì, «abbiamo trovato tanti fabbricati ristrutturati male che sono collassati. Si trovano macerie di parti enormi in cemento armato che erano pezzi di tetti. Negli anni 60 e 70 si faceva di prassi. Ma è come mettere in testa a una casa un cappello pesante. Se non si rinforza la parte che deve sorreggerlo è facile che sotto la spinta di un terremoto collassi».
I motivi per cui una casa crolla e quella accanto resta intatta, come si vede dalle immagini di ognuna delle frazioni e dei comuni devastati, possono essere tanti: può dipendere dal materiale usato, dal progetto e dalla sua esecuzione, dalla consistenza del terreno sul quale la casa si appoggia, dal tipo di costruzione.
Per esempio: la malta che si usava una volta e che il tempo ha ridotto a sabbia spesso – com’è successo qui – non è un collante abbastanza forte per tenere insieme le pietre di una casa antica come le moltissime di queste valli (c’erano molte costruzioni del ‘600, ‘700 e ‘800). «Vede quel muretto?», indica l’ingegner Bolognese. «Se lei prova a grattare fra una pietra e l’altra vedrà che viene via del materiale, vuol dire che le pietre non sono molto legate l’una all’altra».
Non lo erano quelle che oggi sembrano bombardate, diventate tombe alle 3.36 dell’altra notte.