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 2016  agosto 28 Domenica calendario

La guerra contro (la) natura, non dichiarata

Se è vero che negli ultimi settecento anni il solo Appennino è stato colpito da 148 terremoti di intensità superiore a 5,5 gradi della scala Richter, come ha raccontato ieri sul Corriere Gian Antonio Stella, allora vuol dire che da tempo immemore siamo in guerra con la natura. Non ci è stata dichiarata.
Un sisma, ricordano gli esperti, è solo terra che si muove, a uccidere gli uomini è ciò che gli uomini hanno costruito sopra di essa. Ed è proprio la ragione per cui in questa guerra ci troviamo ora coinvolti, essendoci ostinati a dimorare in uno dei posti più belli ma al tempo stesso più fragili del pianeta Terra.
Ma se una volta non eravamo nelle condizioni di vincere neppure una battaglia, oggi quella guerra può e deve finire. Nel 2016 abbiamo i mezzi per farlo. La tecnologia ha fatto progressi tali, sul piano dei consolidamenti strutturali come su quello dei materiali, da garantire a edifici antichi la capacità di resistere a terremoti forti. La ricostruzione del centro storico dell’Aquila, finalmente decollata almeno per quanto riguarda le case private, sta a dimostrare che può funzionare. E anche a costi non proibitivi, se l’utilizzo di tecniche e strumenti innovativi obbedisce a una strategia seria e adeguata.
Una guerra simile tuttavia non si può vincere se per prima cosa non sconfiggiamo quello che Tommaso Padoa-Schioppa indicava come il male endemico del Paese: «L’impulso autodistruttivo» che «pervade la società italiana, la sua classe dirigente, le categorie, il mondo dell’informazione». Fino a toccare la gente comune.
Le Procure della Repubblica a poche ore dal dramma hanno aperto la solita inchiesta. Fa parte del rituale, sempre uguale a se stesso ogni volta che si verifica una catastrofe naturale, al pari di certe becere polemiche puntualmente scattate. Si andrà alla ricerca delle responsabilità, com’è giusto che sia. Lo faremo anche noi, e se emergeranno colpe, omissioni o sprechi lo denunceremo puntualmente.
Ci aspetteremmo però che si mostrasse medesima determinazione nell’affrontare la sfida che questo ennesimo terremoto con la sua scia dolorosa ci mette davanti agli occhi. La missione che il Paese deve necessariamente affrontare senza indugio è la messa in sicurezza del proprio territorio. Affinché non si ripetano più drammi come quelli di Amatrice e degli altri centri colpiti dal terremoto di mercoledì. Ma per arrestare anche lo stillicidio di piccole e meno piccole tragedie causate dal dissesto idrogeologico, dalla follia dell’abusivismo, dall’uso criminale del nostro territorio, dagli effetti di piani regolatori sconsiderati. E anche, perché no, con l’obiettivo di restituire bellezza al nostro paesaggio: che significa pure qualità della vita, sviluppo del turismo, investimenti, crescita economica…
Ne siamo convinti e non cesseremo di rammentarlo. Non soltanto al governo, ma a tutti gli italiani.
Perché è inutile illudersi: una guerra così la vinciamo unicamente se diventa, ha fatto intendere ieri il direttore del Corriere, una guerra di popolo. Nella quale tutti devono essere impegnati, senza eccezione. Per questo serve un patto della nazione che coinvolga forze produttive, categorie professionali e organizzazioni della società civile, oltre ad amministratori e politici. Le associazioni imprenditoriali quali Confindustria e Ance sono disponibili a una mobilitazione generale su questo fronte insieme ai sindacati? Gli amministratori locali sono pronti a dedicare gli sforzi maggiori a questa missione? E gli ordini professionali degli ingegneri, degli architetti, dei geologi …? E le università con i centri di ricerca? E le tante associazioni ambientaliste? I burocrati, poi, sono preparati a rinunciare alla produzione di decreti, circolari e regolamenti sempre più complicati per aiutare finalmente a rendere più agevoli i processi decisionali? I politici, infine, ritengono accettabile l’idea di assumersi la responsabilità di decidere?
Con soddisfazione abbiamo ascoltato nelle ore immediatamente successive al sisma il presidente del Consiglio Matteo Renzi annunciare un piano di intervento che dovrebbe interessare l’intero Paese. Ha anche un nome suggestivo: Casa Italia.
Il proposito è lodevole. Solo non vorremmo che prendesse una piega simile a quella del piano per le periferie urbane, partito in modo roboante ma subito scomparso dai radar. Per questo ci aspettiamo che già da domani, a Palazzo Chigi, si inizi a lavorare a quel piano straordinario. Magari cominciando a disporre quel censimento approfondito dell’esistente che nessuno ha mai voluto fare.
Il momento del dolore sarà purtroppo ancora lungo. Ma sapere che tutti si stanno impegnando perché altri italiani non provino lo stesso dolore in futuro ci farà semmai sentire un po’ più vicini.